VITA DIOCESANA

19 marzo 2003
Convegno di studio a S.Agata Militello
19 settembre 2004
Nuova Chiesa a Librizzi
Novembre 2002
Museo diocesano: traguardo e sfida
Agosto 2002
Il Festival della Valle del Fitalia
26 Febbraio 2005
Pellegrinaggio diocesano Piccole Comunità


Lavori di ristrutturazione e consolidamento
della Casa canonica della Parrocchia S. Anna di Floresta
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Lavori di manutenzione straordinaria della Chiesa Madre di Brolo
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Altre notizie

ETICA E POLITICA OGGI

Convegno di studio
S. Agata Militello, 19 marzo 2003

Quale l’anima della politica? Quali le radici? Quali i punti deboli? Possono esserci riferimenti certi per il cattolico che vuole impegnarsi in politica? Quale, poi, la sua identità?
Queste ed altre le domande a cui padre Bartolomeo Sorge nel corso della sua relazione al Convegno di studio “Etica e politica oggi”, promosso ed organizzato dalla Diocesi di Patti e svoltosi a Sant’Agata Militello lo scorso 19 marzo, ha cercato di offrire risposte significative.
Con linguaggio preciso e magisteriale – il gesuita ha diretto per dodici anni la prestigiosa rivista internazionale Civiltà Cattolica; a Palermo ha presieduto l’Istituto di formazione politica Pedro Arrupe; a Milano è coordinatore dei Centri studi sociali; è autore di numerose pubblicazioni  tra cui il recentissimo “L’Ulivo che verrà” – ha precisato che in un sistema politico demo­cratico la vita sociale non può svolgersi proficuamente senza l’attivo, re­sponsabile e generoso coinvolgimento da parte di tutti i cittadini. In un momento in cui sembra esserci un forte as­senteismo politico, l’impegno dei cattolici è molto importante.
Oggi, in Italia, c’è tra i giovani cattolici un notevole e apprezzabilissimo impegno nel volontariato, ma c’è una evidente fuga dall’impegno politico. Prevale la cultura dell’assenteismo. Persone oneste e capaci rifuggono dalla partecipazione al processo di costruzione della società. Fenomeno questo che non è per nulla positivo, ma a cui si può e si deve offrire soluzioni a partire dal dare fiducia alle nuove generazioni, offrendo loro significativi punti di riferimento ed ideali forti, nella consapevolezza che la sociale vita in un sistema politico democratico non può svolgersi proficuamente senza l’attivo, re­sponsabile e generoso coinvolgimento da parte di tutti.

Certamente non è compito della Chiesa fare politica. In una recente Nota dello scorso febbraio la Santa Sede su questo argomento ha offerto alla riflessione dei cattolici indicazioni precise. La politica – ha puntualizzato il relatore – è un preciso impegno e dovere dei cattolici, i quali in prima ed assoluta istanza debbono ispirarsi ai principi dell’etica naturale. Esiste infatti una norma morale, radicata nella natu­ra stessa della persona umana, al cui giudizio si deve sottoporre ogni concezione dell’uomo, del bene comune e dello società. Sotto questo profilo non può esserci giustificazione per  qualsiasi forma di principi morali che si rapportano a concezioni personali, utilitaristiche e soggettive. La morale naturale assoluta e oggettiva, fondamentalmente radicata nella coscienza umana,  è fondata sulla dignità, sull’intangibilità e sulla libertà della persona e sulla salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società.
La politica – ha proseguito padre Sorge – non può essere ad uso e consumo di singole formazioni partitiche; essa ha bisogno di riferirsi a principi dotati di valo­re assoluto, poiché è a servizio della dignità della persona umana e del vero progresso umano. Per tale motivo quindi, anche chi non è credente, ma ritiene che l’uomo abbia valore assoluto e debba essere sempre trattato come un fine e mai come un mezzo, deve accettare i valori della morale naturale, che non è specificamente cattolica, ma si impone a tutti gli uomini, proprio perché fondata sul valore assoluto dell’uomo, che non può mai essere usato come mezzo a servizio del denaro e del potere.
Ed allora l’imperativo morale soprattutto per il cattolico è quello di vivere la politica come  vocazione e come servizio, ponendo a fondamento di ogni agire la centralità della persona. È il rispetto della persona la condizione che rende possibile la partecipazione democratica alla vita e al governo della cosa pubblica, a tutti i livelli. Il cattolico che partecipa alla vita politica deve sempre tutelare e promuovere la dignità della persona e le esi­genze del bene comune secondo i principi della fede cristiana e della legge morale naturale. Nella concretezza delle scelte quotidiane, certamente si possono avere opinioni differenti, ugualmente legittime anche se di­versamente fondate, sul modo di realizzare concretamente, in un dato momento storico, il bene della persona e della società, a condizione che siano tutte moralmente accettabili e finalizzate al raggiungimento del bene delle persone e della società.

Concretamente, nell’agire politico, il cattolico deve comportarsi da cat­tolico laico, nel senso che egli non agisce né come rappresentante della Chiesa (questa, infatti, non può avere un partito che la rappresenti), né come curatore degli interessi religiosi, spirituali e tem­porali della comunità ecclesiale, né come mandatario della comu­nità cattolica; agisce invece nella sfera civile, in vista del bene co­mune, a vantaggio di tutti i cittadini, cristiani e non cristiani, credenti e non credenti. L’insegnamento sociale della Chiesa non è quindi un’intromissione, ma è un richiamo ai cattolici circa il dovere morale di coerenza e di fedeltà al­la propria coscienza. Nella loro esistenza non possono esserci due vite parallele: da una parte, la vita cosiddetta religiosa, con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall’altra, la vita sociale, ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell’impegno politico e della cultura. Dopo la relazione del gesuita, il Convegno, che ha registrato l’interesse degli oltre 350 partecipanti variamente impegnati in politica a livello comunale o provinciale e provenienti dai 42 comuni della Diocesi, è proseguito con numerosi e significativi interventi e domande, che hanno consentito di approfondire vari aspetti dell’interessante tematica, con l’attenta regia del moderatore avvocato Pippo Liuzzo

Nella parte conclusiva dei lavori, lo scrittore e regista Melo Freni ha presentato il suo ultimo libro “Al limite della ragione”. La nuova fatica letteraria di Freni pone al centro della sua analisi la Sicilia, l’isola della felicità proibita, di ieri e di oggi, con le sue ansie, i rimpianti e le tante aspirazioni. Come in altri precedenti testi, l’autore rievoca il dramma del siciliano che troppo spesso ha vissuto e vive tuttora rinchiuso in se stesso e nelle piccole vicende. Torpore e rilassatezza che hanno mortificato, consapevolmente o no, desideri, impegni, potenzialità, interessi, e che gli hanno impedito di mettere le ali e volare da angeli, proprio al limite della ragione, nella grettezza della propria impossibile felicità.

Una nuova Chiesa a Librizzi

Inaugurazione

19 settembre 2004

Album fotografico

1. Un iter durato venti anni
Venti anni sono piccolissima cosa nella misura cosmica del tempo e anche nel cammino del genere umano. Sono, tuttavia, uno spazio assai significativo nella vita di una persona e di una comunità.
Quando poi, come nell'ultimo secolo, il passo della storia sembra essersi fatto più veloce, venti anni possono contenere cambiamenti di grandissima portata, nella geografia politica e religiosa come anche nei modi di sentire e negli scenari culturali.
È infatti di un ventennio lo spazio temporale tra l’impegno assunto dal Vescovo Carmelo Ferraro nel gennaio 1985, visitando la comunità di Sant’Opolo-Murmari, e la inaugurazione della chiesa di San Paolo con la solenne liturgia di dedicazione di domenica 19 settembre 2004, presieduta da mons. Ignazio Zambito, Vescovo di Patti.
Se è vero che le oltre quattrocentocinquanta chiese che costellano il territorio dei Nebrodi hanno un rapporto peculiare ed inscindibile con borgate, paesi e rioni, è altrettanto vero che ogni tempio è specchio, memoria, enigma, che sintetizza il travaglio e la storia di ogni singola comunità.
Tempi di pietre, di colonne e pilastri, di navate, absidi e volte, di voci e silenzi, di ombre e luci intrisi di mistero.
Tempi che si elevano maestosi, come bussola di valori, sopra le case e il tessuto viario, pronti a significare il senso del vivere a servizio degli ultimi.
Edifici sacri che riassumono in sé,  con le tensioni della fede, le idealità della bellezza.
Anche qui, a Librizzi, nella minuscola borgata di Sant’Opolo, il tempio di San Paolo si erge tra gli ulivi ed i tetti, per porsi come icona di splendore ed invito a guardare con stupore, con gratitudine e amore, al Signore della vita e della storia.
In questo angolo di terra, variamente segnata da avventure e legami, la Diocesi di Patti dà oggi concreta risposta alle esigenze sociali e religiose, consegnando questo tempio arricchito di opere d’arte che comunicano emozione e stupiscono per dignità, decoro e bellezza.
Il primo tassello è posto nel dicembre 1999, acquistando con una spesa globale di oltre Lire 15.000.000 dall’Amministrazione comunale di Librizzi un appezza­mento di terreno, esteso mq. 840, proveniente da una precedente procedura espropriativa.
L’area acquistata è situata in zona centrale rispetto alle abitazioni della contrada. Tuttavia la morfologia del lotto non è delle più favorevoli. Il terreno infatti è posto in forte pendenza rispetto al piano stradale e si rende necessario prevedere notevoli spese per lo sbancamento e per i muri di sostegno.
Il complesso iter è affidato dal Vescovo, nel gennaio 2000, all’Ufficio Tecnico della Curia di Patti (direttore: sac. Basilio Scalisi; tecnici: ing. Francesco Ingrassia, arch. Franco Brancatelli; arch. Rosario Fonti, geol. Rosario Segreto). Gli elaborati progettuali, redatti in conformità alle norme della Conferenza Episcopale Italiana per la nuova edilizia di culto, alle indicazioni dell’Ordinario Diocesano, al regolamento edilizio vigente nel comune di Librizzi e alle disposizioni riguardanti le costruzioni in zone sismiche, vengono completati nel maggio 2000.
Il progetto è immediatamente presentato alla C. E.I. per essere ammesso all’unico finanziamento possibile e cioè quello proveniente dall’otto per mille dell’Irpef. Su richiesta della Commissione centrale, nel giugno 2002, vengono apportate alcune modifiche al progetto originario.
È del 15 gennaio 2003 la lettera del Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, con la quale si comunica al Vescovo di Patti l’approvazione ed il finanziamento dei lavori per € 366.000. Nel contempo la Diocesi Patti assume l’impegno di integrare la spesa globale con proprie economie.
Ottenute le successive autorizzazioni di legge, la Ditta Eurofer Costruzioni s.r.l. di Brolo (direttore tecnico: geom. Franco Fasolo; tecnici collaboratori: geom. Francesco Spurio e geom. Giuseppe Spurio), il 3 aprile 2003, inizia i lavori.
Mons. Vescovo, il successivo 5 aprile, benedice il cantiere e la prima pietra, su cui è scolpita la scritta “Cristo, pietra angolare”.
A fine agosto 2004 tutte le opere progettuali sono complete e Mons. Vescovo con decreto del 1° settembre 2004 ne approva la corrispondenza alle direttive liturgiche e fissa la solenne liturgia di dedicazione per domenica 19 settembre 2004.
Primo tempio nella Diocesi di Patti ad essere titolato all’apostolo San Paolo, la chiesa si qualifica, oltre che per l’impianto architettonico, per le opere d’arte contemporanea che esso contiene.
Nel progetto originario, tali opere, se si eccettuano quelle dell’area presbiteriale in pietra locale, non sono previste soprattutto per contenere i costi di costruzione.
Tuttavia, nelle fasi di progressione dei lavori della chiesa, il Vescovo e la commissione tecnica diocesana che soprintende ai lavori maturano la convinzione che, per rendere completa la fruibilità liturgica della nuova chiesa, siano opportune la realizzazione e la collocazione nell’aula liturgica di alcune opere d’arte particolarmente significative, tenuto conto fra l’altro che, come detto, l’edificio sacro è la prima chiesa in Diocesi ad essere titolata all’Apostolo delle genti.
La volontà è quella di dare concretezza con linguaggio attuale al tema della Redenzione, oggetto centrale della predicazione dell’apostolo Paolo. Pertanto, piuttosto che lasciare spazi nell’aula per successive eventuali improvvide iniziative, nel gennaio 2003 si decide la realizzazione del progetto iconografico, affidandosi alla forza espressiva della pittura contemporanea.
Tale compito viene affidato al prof. Franco Nocera, titolare della cattedra di pittura all’Accademia di Belle Arti di Palermo, artista fra i maggiori in Sicilia ed autore delle grandi vetrate del Santuario di Tindari, il cui linguaggio astratto informale affascina i visitatori.
Nocera, dopo approfonditi colloqui con vescovo e teologi, dopo intensi e personali studi, in otto mesi realizza le opere che oggi ammiriamo nella chiesa di San Paolo e cioè:
a)  Il trittico, su supporto ligneo in multistrato marino di mm 20 (spessore) composto da 15 sezioni, delle dimensioni globali di metri 10 (larghezza) x 7 (altezza), che campeggia nella parete absidale dell’aula liturgica. La grande superficie lignea è dipinta con tecnica ad olio e l’inserimento di tecniche miste, tra cui foglio d’oro 18 carati. Domina il quadro centrale la figura di Paolo. Il pittore lo rappresenta con l’energia tipica dell’apostolo mentre addita la Croce, segno e strumento della Redenzione. Nel riquadro di destra è rappresentata la Trasfigurazione; in quello di sinistra, la Maternità di Maria.
b)  Soprastante il trittico, al centro della parete absidale, è posta la Croce lignea, assemblata in tronchi di castagno stagionato e dipinta con inserimenti cromatici aurei. Le dimensioni sono: metri 3,50 (altezza asse centrale); mt 1,60 (lunghezza globale dei bracci della croce).
c)  Le cinque vetrate artistiche, poste sulle due pareti laterali e sulla facciata principale, che realizzano attraverso la luce le condizioni essenziali per completare la meditazione e conducono il fedele in un’atmosfera contemplativa. La preziosa policromia e le ricchezze decorative donano alla chiesa un respiro d’eternità. Attraverso i vetri traslucidi, la luce filtrata diventa  manifestazione di Dio. La trasposizione in vetro dei bozzetti del maestro Nocera, eseguita nei laboratori di Italo Peresson a Milano, è prodigio di tecnica che rinnova la sapienza dei maestri gotici. È preceduta dalla scelta delle lastre vitree, prodotte dalla “Verrerie de Saint-Just” (Saint-Gobain, vitrage) in Francia esclusivamente per la ditta Peresson, che lavora, taglia e ricompone i vetri. Vetri di multiforme bellezza: soffiati a bocca, spessi tre o cinque millimetri. Non appartengono alla tipologia “cattedrale” di qualità modesta e uso commerciale. Sono unici. Di essi non esistono due lastre simili. Ogni pezzo è determinato da una irrepetibile miscela di colori minerali, timbri, modulazioni, ritmi che ne formano il carattere. Il magma interno non è univoco. Si struttura di 5, 8, 11, 13 gradazioni cromatiche ed è mosso da soffi che danno vita a onde, fasce e macchie. Sono detti «bariolés» questi vetri, cui è consustanziale il colore che brilla di trasparenze fisiche e metafisiche.
A presiedere l’intera operazione tecnica è il maestro Italo Peresson, uno dei più noti vetratisti del secondo Novecento, già professore all’Accademia Carrara di Bergamo e collaboratore di Léger, Man Ray, Longaretti, Latapie, Funi, Sassu, di cui ne interpreta il genio.
Per la realizzazione del trittico e della croce dipinta hanno dato valida collaborazione al maestro Nocera: Serena La Scola, Giovanni Vassallo, Pietro Di Noto, Arturo Aronica.
Completano l’arredo dell’aula liturgica le opere in pietra locale, eseguite con perizia da Antonino Furnari di Patti con la consulenza della figlia arch. Patrizia: altare, ambone, fonte battesimale, tabernacolo, acquasantiera.
Il costo complessivo della costruzione della chiesa, della singolare croce-campanile e delle opere iconografiche e di arredo è di  € 600.000,00.
Un ruolo significativo, oltre alle persone e ditte sopra indicate, va attribuito alle maestranze e agli operai della ditta Eurofer che hanno contribuito con laboriosità, passione e perizia alla realizzazione di questa chiesa: Giovanni Ceraolo (capo cantiere), Basilio Ceraolo, Basilio Ridolfo, Gianni Ridolfo, Antonino Ridolfo, Angelo Ridolfo, Claudio Pizzuto, Sebastiano Messina, Davide Brigandì, Nunziato Ricciardo, Salvatore Ricciardo.
È pure doveroso indicare anche coloro che hanno fornito materiali di buona fattura e prestazioni a regola d’arte: Edilnova (laterizi e ferro); Cannizzo Costruzioni (conglomerato cementizio); Di Luca Cardillo Carmelo (opere in ferro); Belbruno Giovanni (opere in alluminio e vetri); Bertolone Calogero Salvatore (impianti elettrici); Fratelli Raffaele Addamo (opere di impermeabilizzazione); Ditta Essegi di Scirocco e Gugliotta (infissi e porte in legno); Ditta De. Ar. pitturazione di Arasi Francesco (opere di tinteggiatura).
Per l’arredo che notiamo in chiesa è doveroso ringraziare: sac. Vincenzo Vitanza, parroco della Parrocchia Sacro Cuore di S. Agata Militello (banchi in legno); sac. Antonino Gregorio, rettore del Santuario di Tindari (artistico confessionale e sedie); sac. Salvatore Miracola, parroco della Parrocchia S. Nicolò di San Marco d’Alunzio (preziosa campana in bronzo); sig. Lorenzo Piparo (stemmi in marmo); sac. Franco Pisciotta, parroco della Parrocchia S. Ippolito di Patti (casse acustiche e microfoni per impianto di amplificazione); anonimi (calice e patena in argento dorato, casula ricamata in oro); ditta Caleca (vasi in ceramica artistica).
Gli altri arredi sono stati acquistati con le offerte della comunità, raccolte dal Comitato della contrada (Carmelina Allegrezza, Davide Brigandì, Tanina Raffaele, Gino Saitta, Mariella Todaro, Marco Stefano, Nino Saitta, A. Maria Mondio, Giusy Cafarelli, Gianluca Giuffrè).
Le opere di sistemazione esterna, di arredo urbano e di restauro dei banchi sono state finanziate dall’Amministrazione Comunale di Librizzi (Sindaco: dott. Antonino Siragusano).
Ad essi e alle tante altre persone che hanno dato con generosità  il loro articolato contributo vadano  ringraziamento e gratitudine.
Tuttavia, la storia vitale di questo lembo dei Nebrodi non è finita con la realizzazione del tempio. Storia che è tutta ancora da scrivere, pur con lentezza e fatica, nella consapevolezza che tutto è grazia, tutto è dono.
Non vi è dubbio che la comunità di Sant’Opolo-Murmari saprà essere carica di vitalità e capace di slanci dinamici ancora più intensi e di segnare tracce indelebili e coinvolgenti.

Basilio Scalisi

2. La valenza iconografica

L’idea di arricchire di pregiate opere d’arte la chiesa di San Paolo a Librizzi nasce dalla singolare sensibilità di mons. Ignazio Zambito, che guarda all’arte come al canale privilegiato attraverso il quale l’umano si avvicina al trascendente, specialmente in una chiesa, luogo privilegiato per destinazione alla contemplazione del divino. Egli, pur intuendo la difficoltà di esprimere il sacro attraverso l’arte contemporanea, sente profondamente il desiderio di guidare i fedeli alla comprensione del senso estetico e teologico del mistero.
Il Vescovo si rende interprete della bellezza del tempio di Dio ed, al contempo, interprete del linguaggio liturgico, animato com’è dalla consapevolezza della funzione soteriologica del sacro finalizzata a celebrare la potenza di Dio. Sotto questo profilo, egli, in questi cinque lustri di ministero episcopale, è promotore di audaci progetti quali il restauro della Nigra sum di Tindari, la realizzazione delle grandi vetrate del Santuario di Tindari eseguite da Franco Nocera in occasione del Giubileo del 2000.
Così, nel gennaio 2004, ancora una volta, commissiona al maestro Nocera l’intera decorazione degli spazi della nuova chiesa di Librizzi per abbellirli con la ricchezza di opere che rendano più eloquente e profondo il senso della celebrazione eucaristica.   
Al lavoro progettuale del Vescovo si affianca la preziosa collaborazione di Don Basilio Scalisi acuto osservatore e curatore di importanti eventi artistici, gestiti con fine intuito e competenza.
La fiducia e l’attenzione poste nei confronti del maestro Nocera si rivelano ancora una volta straordinarie poiché l’artista sa abbracciare come pochi il tema del Sacro. Tema che si rivela così congeniale alla sua sensibilità estetica, che, nell’interpretare i testi delle Sacre Scritture, le soluzioni trovate creano un’atmosfera di rara e stupefacente suggestione.

A)  La Croce gemmata
A chi entra nella nuova chiesa di S Paolo e volge lo sguardo verso l’altare, appare, nella sua maestosità, la croce dipinta. Sospesa in alto, davanti alla pala, essa costituisce un’unità armonica con l’immenso dipinto retrostante.
Attraverso l’arte, l’autore penetra il mondo spirituale e celebra il mistero di Cristo con un’opera singolare dal profondo ed intenso significato. È alquanto complesso esprimere con il linguaggio pittorico la "modernità" della croce, metafora del dolore umano, ma ciò che Nocera realizza è in grado di avvicinare il divino all’umano e coinvolgere sensibilmente l’osservatore.
L’artista rappresenta il dramma della morte ed, al contempo, l’imporsi della vita con i simboli della venuta gloriosa di Cristo. La croce gemmata, "signum victoriæ", testimonia come essa non sia un umile legno ma il “luogo” della Vita Appesa. Non vi è rappresentato il corpo, ma il pathos, la sofferenza, l’estremo sacrificio che divengono presenze reali, tali da sconvolgere l’anima.
C’è una sintesi di verità, bontà e bellezza posta al di sopra dello spazio e del tempo. Attraverso dei simboli, come tracce indelebili di morte e resurrezione, l’opera acquista un respiro d’eternità. È sorprendente il modo in cui è reso vivo il sangue versato, tinto di viola intenso lungo l’asse e di rosso scarlatto attorno ai chiodi. La croce, emanazione ed identità di un amore immenso ed eterno, trova nello strumento del martirio il simbolo della sua grandezza.
L’opera nasce da un’intima visione e da una personalissima contemplazione di spazi interiori, sostenute da un’approfondita conoscenza teologica ed ascetica. È in essa la grande intuizione di riuscire a coniugare in un unico simbolo la tradizione orientale ed occidentale. L’incrocio dei bracci diviene per questo il luogo di unione profonda tra i due mondi religiosi.
Il monogramma φως ζωή, luce-vita, derivante dalla cultura cristiana dell’Asia Minore è circondato dalle gemme di chiara matrice  occidentale. Luce, vita, oscurità e morte vivono sullo stesso piano, sottolineando come il Risorto non abbandoni il Crocifisso, ma lo ponga come evento salvifico, supremo segno della potenza di Dio. Qui, Nocera si fa interprete di una fede radicata nel proprio essere che ritrova nell’infinita bellezza della croce il suo corrispettivo simultaneo. Egli celebra la vittoria, ma ne sottolinea anche il lato umano della sofferenza e dell’umiliazione.
L’iscrizione I.N.R.I., infissa al di sopra del capo di Cristo, è il marchio incancellabile dell’odio e dell’ingiustizia del mondo. Tracciata con quel rosso ancora pulsante, è indice di una esecuzione tanto crudele quanto spietata. Questa elevazione rende ancora più evidente lo strazio per una morte annunciata, la sofferenza di colui che ha rinunciato al proprio io per annullare il debito dell’umanità.
Eppure una forza immensa e misteriosa spinge l’uomo oltre la morte rendendo il “legno” strumento di salvezza. In modo enigmatico il supremo dono di sé trascina e travolge la parte più profonda dell’interiorità umana, ed al contempo, infonde la speranza della redenzione e della vita eterna. Una luce surreale si sprigiona attraverso la striscia dorata che nasce dal centro e scorre per tutto l’asse. L’oro incide il viola irradiandolo di un bagliore sovrannaturale. Le tessere musive, spiritualizzazione totale del sangue dell’uomo, realizzano la grazia che rivela l’amore come destino di salvezza, verso il quale tutti  possono accedere.
L’incontro tra Dio e l’uomo è un’esperienza intima, mistica che coinvolge la parte più impenetrabile dell’essere in cui "intelletto, volontà e sentimento - scrive San Tommaso - non sono ancora facoltà distinte". L’Uomo trasforma l’uomo. Il mistero della rivelazione contempla un amore incorruttibile, sublime ed ineffabile. È impeto travolgente che necessita del martirio per rivelare la sua incontenibile forza ed invadere il creato.
Eppure la vittima dell’espiazione dei peccati, il condannato, non condanna la fragilità ma perdona, trasforma il legno della croce in strumento di riconciliazione che effonde il dono dello Spirito. Dunque la luce, di cui l’artista si serve per far risplendere la sua opera, diviene luogo da cui scaturisce la vita divina. Nel suo essere raffigurazione drammatica, nel rappresentare la "durezza dell’abbandono", essa diviene celebrazione della vittoria, “crux invicta”, che necessita della sofferenza redentrice di Cristo.
Nocera tinge d’oro anche i chiodi, segni del supplizio, racchiudendo in essi le realtà opposte, eppur complementari, del cielo e della terra, della morte e della resurrezione. Raffigura l’istante e l’eterno, l’angoscia della solitudine e la fede in un amore più grande, l’incarnazione del Verbo e la sua glorificazione. Si ha la percezione di un sottile chiarore, di un respiro che vibra nel segreto, di un’intima e personale conoscenza dei misteri della rivelazione secondo una nuova sintesi creativa.
Il misterioso messaggio si crea attraverso un’opera poetica e si rivela specchio di un sentire, un intendere, un percepire il dogma non esprimibile con la parola. Il maestro si accosta alla profondità dell’uomo con una  conoscenza legata ad una particolare sensibilità. Questa aderisce e risuona nella sua croce come un’espressione musicale, una melodia che diviene soffio divino.
Dall’alto essa s’impone agli occhi del fedele quasi a volerlo accogliere con le sue grandi braccia ed esprime il consumarsi e l’affermarsi della presenza salvifica. La sua essenza accetta la sofferenza, adempiendo al destino presente nelle Sacre Scritture. Bisognava che il Cristo percorresse i sentieri umilianti del dolore e sperimentasse la debolezza per affermare la potenza della Resurrezione.
L’incrocio dei bracci diviene centro della creazione. Le quattro tessere d’oro, preziosi microcosmi, assumono la valenza dei quattro punti cardinali: gli evangelisti. Pietre fondamentali del messaggio evangelico, impressi nella croce, non la abbandonano e divengono espressioni diversificate di un unico mistero.
Si riveste d’oro anche l’immagine della Trinità. Posta ai piedi della croce, offre salvezza. Il mistero trinitario, complessa raffigurazione, rivela il Padre attraverso il Figlio incarnato e trasmette, per mezzo dello Spirito, la sua parola, dando testimonianza di un amore totale. È qui che Nocera intuisce il dono di grazia che trascende la comprensione sottolineando l’universale volontà salvifica. La grazia incoraggia, attrae, esorta il cuore dell’uomo a partecipare al dialogo con Dio, ma non lo costringe perché egli è libero. L’inesprimibile si affida alla voce dell’eterno e ci rende partecipi della sua esperienza di comunione.
La croce, opera perfettamente compiuta, non si risolve nel mistero dell’opera stessa, ma riassume in sé il dono dello Spirito che Cristo ogni giorno rinnova.

B)  La pala d’altare
Dietro la croce, a rivestire quasi interamente la parete absidale, s’impone, nella sua grandezza, l’immensa pala. Anche quest’opera rivela la profonda contemplazione del mistero. Osservando da sinistra si rivive il momento più struggente della Passione: la deposizione del corpo.
Come guardare al dolore? Con che occhi contemplarlo? Se gli occhi sono lo specchio dell’anima e riflettono i sentimenti, lo sguardo può immergersi ed entrare nel profondo. Ecco che Nocera racconta lo strazio di un’umanità quasi dimenticata da Dio, l’angoscia, la solitudine e l’incomprensione del mondo. Il grido di dolore risuona oltre il tempo, la desolazione dell’anima viene impressa nei corpi e nei volti. L’occhio, medium dello Spirito, ha il potere di guardare la morte in faccia nella sua più gelida concretezza. L’artista la ritrae scegliendo vibrazioni chiaroscurali,  contrasti tra luce ed ombra, accentuando la convulsa agonia e la  deformazione che il corpo assume nel manifestare il dolore. I personaggi dipinti sono figure allungate, immerse in un’atmosfera silenziosa e lacerante al tempo stesso.
Già dall’alto colpisce lo strazio degli occhi senza sguardo dell’uomo che si abbandona sul legno  con  braccia smisuratamente grandi.
È difficile per la nostra natura, incerta e vacillante, affrontare l’oscura visione della morte. Le tinte forti del blu notte, del rosso e del verde scuro, memori dell’espressionismo europeo, accentuano lo smarrimento totale di coloro che, attoniti, rimangono col capo chino. Si respira un alito di memoria quasi seicentesca nella disposizione della scena che riporta a Pontormo ed a Rosso Fiorentino, mentre si rivela giottesca nello slancio delle braccia della Maddalena.
Qui l’artista concentra l’attimo di maggior sgomento. La figura della donna conferisce al dipinto un dinamismo ed un’agitazione estrema in quell’urlo che è un chiaro segno di rifiuto. È lei che, più di tutti, non accetta l’onta di un’esecuzione ingiusta e spietata. Il suo grido risuona oltre il dipinto e raggiunge i luoghi più nascosti della profondità dell’anima. L’abito della donna, rivestito di passione, è intriso di rosso scarlatto, come il sangue che ancora scorre dalle ferite del corpo deposto.  La debolezza, l’insufficienza, l’impotenza dell’uomo di fronte all’evento sconvolgente superano i limiti di ogni comprensione possibile.
La figura di Maria, di colei che sola vive il dramma interiore di non poter aiutare il proprio figlio, incarna la dignità e la forza che nascono dalla debolezza. Attraverso l’afflizione, Dio agisce e manifesta la sua potenza per elevare l’uomo. L’opera raggiunge la pienezza del suo significato nell’angoscia composta della madre che regge il figlio consapevole del suo sacrificio necessario. A lei, creatura prescelta, si richiede la più grande ed eroica prova di fede. C’è nel  volto assente, nella resistenza istintiva, nell’oscurità del manto in cui è avvolta, un’impenetrabile solitudine ed una profonda amarezza. Lo sguardo immerso in una quiete apparente rivive il ricordo delle parole profetiche pronunciate da Simeone: "E anche a te una spada trafiggerà l’anima".
Queste sembrano riecheggiare con suprema eloquenza e con forza penetrante in tutto il dipinto dove il verde scuro accentua la tremenda sensazione di vuoto. Mentre il dolore di Maria è sorretto da una fede illuminata e da una conoscenza superiore che le permettono di affrontare la morte redentrice del figlio, lo sconforto totale coglie le pie donne e Giuseppe d’Arimatea. Quest’ultimo rimane escluso, immobile, raccolto nel più cupo dolore. Il suo gemito, la rassegnazione assoluta protendono ed invadono la lunghezza di tutta la figura.
In alto, anche gli angeli partecipano al dolore del mondo in un cielo sofferente per una morte così violenta.
Ma è il Cristo, fulcro del dipinto, il centro dell’immane tragedia. Il corpo immobile giace abbandonato, sorretto solo dal pianto della madre. Nel momento estremo, anch’egli "Uomo", è solo, investito da un ritaglio di luce, che abbaglia l’oscurità della notte. Nocera rappresenta il corpo umiliato ed offeso con una singolare partecipazione emotiva che diviene contemplazione. Egli ritrae l’Uomo nell’eterna contraddizione della paura e della volontà di donarsi. Le profonde ferite, sanguinanti, i segni graffianti  trafiggono la carne e urlano il dolore del mondo. In qualsiasi luogo della terra ed in qualunque tempo della storia l’umanità inconsapevole diviene vittima della sua stessa assurda ferocia.
Sul volto del Cristo si legge il dramma amaro di chi cerca Dio e crede di essere stato abbandonato al proprio destino. Le labbra semichiuse invocano il Padre e gli occhi suadenti ed intensi, pur non vedendo più, comunicano la pena. Piaghe grondanti di sangue non lasciano nemmeno un brandello di pelle intatta e mostrano tutta la malvagità e la miseria dei carnefici.
Eppure il volto non è contratto; nonostante l’apparente sconfitta, è dolce e soave. L’ultima parola non è per il peccato, ma per il perdono. È qui che va ricercata la vera ragione della speranza cristiana, ciò che rivela il senso della vita e della storia anche con i suoi fallimenti. Il ritratto è testimonianza della forza del male verso lo stesso figlio di Dio, per sua natura assolutamente innocente e libero. Ma tramite lui, Dio uccide la morte e restituisce l’identità al Figlio abbandonato.

Nella parte centrale della pala risplende San Paolo
Figura enigmatica del Nuovo Testamento, affascinante autore ispirato e mistico, a lui  viene dedicata la chiesa. Sapere che l’Apostolo delle genti ha condiviso la natura umana, i suoi doni, ma ha anche sofferto la povertà, la debolezza, l’aridità dell’anima, è qualcosa che incoraggia e lo rende più accessibile.
Nocera lo dipinge in tutta la sua concretezza di uomo. Paolo fa parte di coloro che Dio sceglie e di cui si serve per trasmettere la sua parola, proprio lui che si definisce "bestemmiatore e persecutore violento" (1Tm 1,13). Paolo di Tarso è irruente fino all’aggressività, ostinato fino alla durezza.
É in piedi, in cammino, vestito di tinte accese dai forti contrasti del blu e del rosso; afferma  la sua complessa e singolare personalità in perenne contrasto tra umanità e regalità. L’immagine incarna l’unione degli opposti, interpreta la trasformazione assoluta e rivela come i progetti di Dio siano segreti ed incomprensibili. Paolo ne vive il mistero con drammatica intensità.
Dopo una vita segnata dalla tribolazione, dall’angoscia, dalla persecuzione nei confronti di Cristo, sulla via di Damasco diviene il protagonista di un avvenimento straordinario: il suo corpo e la sua anima sono improvvisamente travolti dalla potenza redentrice. Con la gioia nell’animo trova Cristo,  lascia l’effimero per l’eterno.
Nel suo cammino Paolo non è solo. La sua parola e il suo gesto sconvolgono ed esortano ogni uomo a partecipare al miracolo della croce. La sua conversione e l’impegno morale divengono ascesi cristiana. Azione divina ed umana si compenetrano nell’attualità del suo messaggio. In lui il credente rivive il percorso di perfezione e ne intuisce la suprema verità. A Nocera il compito di ricreare parola ed immagine per svelare l’anima, per restituire la sua personale ricerca verso l’uomo di Tarso.
Paolo è vivo, presente  in uno spazio reale e simbolico oltre la temporalità. É l’uomo moderno che nella contemplazione del mistero sperimenta l’amore che supera ogni conoscenza. L’artista riflette l’esperienza mistica raggiunta dall’apostolo e rappresenta in maniera singolare l’irradiazione visibile del Dio invisibile. Questa invade l’uomo trasformato in Paolo rendendolo nuovo, con una fede che è offerta totale del proprio essere. Colui che volutamente ha respinto il Cristo ora è investito dalla grazia e trasforma l’impulsività in tenacia, la volontà di potere in stupore di fronte alla gratuità del dono.
Il lupo feroce, l’uomo che ha assistito al martirio di Stefano, è diventato ardente discepolo. Il persecutore si ritrova credente. L’anima purificata comunica attraverso gli occhi. Lo sguardo intenso e carismatico  abbraccia la potenza dello Spirito ed annuncia il mistero di salvezza, il volto trasfigurato incarna la bellezza di Dio. Paolo, prima di essere santo, è soprattutto uomo e come tale ha lasciato i segni del suo cammino. Le lettere, esperienza di salvezza e contemplazione mistica, guidano alla conoscenza di Dio Padre ed avvicinano alla sua volontà.
É consapevole di essere illuminato, la sua è una percezione di verità ed amore che ne invade  la  vita. La sua grandezza sta nel fatto che egli non si limita a trasmettere la parola, ma vivendola sperimentalmente testimonia come essa diventi profonda e vissuta. La misericordia di Dio è una fiamma che arde e si diffonde dovunque egli svolga la sua missione, in Siria, in Macedonia, in Grecia, a Creta sino a concludersi a Roma.
Le lettere di Paolo sono trafitte dalla spada, il prezzo da scontare per la propria conversione. Egli sperimenta nel corpo e nell’anima la passione. La morte, evento tragico e necessario, gli appartiene.  Intraprende i sentieri del dolore e dell’umiliazione, sperimenta la debolezza e la prostrazione della carne, l’impotenza, l’insufficienza dovuta ai propri limiti, conosce l’assalto della paura nel sopportare flagellazioni, lapidazioni, prigionie.
Nocera racconta la crudeltà e la violenza della sua condanna. Mostra tutta la ferocia nel corpo capovolto segnato dalla mortificazione. Immerso in un verde cupo trasmette sgomento e, mentre il sangue scorre, contamina e trasforma l’ostilità verso Dio.  Il carnefice  ha spezzato il corpo, ma non ne ha mutilato l’anima. La forza interiore di Paolo risiede nel pensiero. Nella solitudine, nel  tormentato stato di abbandono, sa di non essere solo ma, unito a Chi prima di lui ha sofferto le stesse angosce, non è turbato dalla morte. Nel suo volto è tangibile lo splendore della grazia.
Paolo, portavoce del mistero di salvezza, deve attraversare un trauma violento per passare dall’incredulità alla fede, dall’odio all’amore. Deve affrontare dolorosi patimenti per trasformarsi nel più grande missionario di tutti i tempi.
L’attualità del messaggio di Paolo benedicente trapassa i secoli. Nell’unione con Cristo, nell’ascoltare la voce dello Spirito, la fede condiziona l’esistenza, ne determina l’avvenire ed afferma l’universale volontà salvifica. Insieme a Pietro, depositario di un amore assoluto, non distoglie lo sguardo dall’uomo e la sua misteriosa potenza rifiuta il compromesso e trascina verso le realtà nascoste dello Spirito.

La Trasfigurazione
Nella splendida pala conclude la trilogia il tema della Trasfigurazione.  L’evento soprannaturale non appare  come semplice racconto, ma assume valore esemplare. È un tripudio di luce incantevole e sublime. L’artista ne dà una personale visione, seguendo una particolare vivacità creativa. Egli ripercorre ed interpreta i sentimenti e gli stati d’animo di Gesù, degli Apostoli e dello stesso Padre nell’intima unione di spirito, cuore e mente.
L’immagine riempie gli occhi e penetra l’anima di chi guarda. Il modo in cui si celebra la prefigurazione della realtà futura, morte e resurrezione, indica la conoscenza del significato della trasfigurazione come fatto storico e momento fondante della conversione.
Cristo si intravede attraverso la trasparenza della carne e lo splendore  della sua potenza. Il volto e le vesti diventano fulgore irradiante. Il bianco ed il giallo si espandono per tutto il dipinto quasi a voler uscire a contaminare il mondo.
Ciò che accade sul monte Tabor è sublime e straordinario. Gli stessi protagonisti difficilmente reggono la vista dell’aspetto definitivo di Cristo. Su di lui la gloria di Dio si emana dall’interno. Nocera ritrae il volto bellissimo illuminato e brillante: "il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come luce”. Ciò che effonde non è luce riflessa ma propria. L’intuizione e la sensibilità dell’artista rendono l’estasi quasi palpabile. La sostanza di Cristo invade e travolge i prescelti davanti ai quali decide di trasfigurarsi.
Pietro, Giacomo e Giovanni incarnano le dimensioni della solitudine, del silenzio, della lontananza da tutto, condizioni essenziali per accedere al mistero. La presenza di una costante tensione non provoca angoscia. Stupore, meraviglia, rapimento sottolineano la forte esperienza mistica. Gli apostoli si inginocchiano in atteggiamento di adorazione e di trepidante umiltà. Tutto è frutto di un solo istante: l’immagine appare chiara, gloriosa maestà generatrice di perfezione. Grazie al maestro, in quest’ultima parte, si entra in contatto col misticismo più profondo e totale. L’anima penetra la materia e capta l’energia suprema armonizzando cielo e terra.
Quasi a placare l’inquietudine, l’artista si affaccia al dogma nella ricerca di perfezione ed introspezione continua. Nell’inesauribile bisogno di rinnovamento e di sperimentazione, egli attinge alle tradizioni pittoriche del passato per coniugarle con intuizioni e rielaborazioni proprie. Le forme, i colori, i gesti descrivono un’inquieta interiorità. Nella solitudine, nell’imbattersi in sé stesso, nell’oscurità del proprio essere, anche l’artista cerca Dio. L’Invisibile, l’Impenetrabile, l’Inaccessibile da un punto di vista umano si manifesta presenza ed essenza di luce, principio di perfezione e  completezza.
Nella sommità invasa d’azzurro i tratti di un volto impalpabile, all’interno di una spirale onirica,  schiudono momento per momento il mistero della bellezza.
Perfetto nella composizione estetica, apparentemente distante dall’uomo, Dio è la forza spirituale che governa l’ordine del mondo nella dimensione umana, cosmica e divina. Questa, come un soffio, accoglie, avvolge, protegge e fissa il principio della creazione.
L’essenza del Padre circonfuso di luce diviene significante dell’eterno e riforma il tempo dell’uomo. Il viso senza corpo si ricompone inoltrandosi nel vento e nelle nubi. L’eco delle parole pronunciate riecheggia per tutto il dipinto. Il blu e il bianco stesi con gestualità energica fissano la tensione spirituale e inducono alla dimensione della fede. Il desiderio di rinascita, il bisogno di elevazione e il mero senso della contemplazione ridonano valore alla vita, la svelano e la trasformano attraverso l’arte.

C)  Le vetrate
Nel varcare la soglia della chiesa, si lascia il mondo umano per ritrovarsi illuminati da  intensi raggi vivificanti.
Ideate da Nocera ed eseguite a Milano, le vetrate realizzano attraverso la luce le condizioni essenziali per completare la meditazione e conducono il fedele in un’atmosfera contemplativa. La preziosa policromia e le ricchezze decorative donano alla chiesa un respiro d’eternità. Attraverso i vetri traslucidi, la luce filtrata diventa  manifestazione di Dio.
È difficile descrivere le impressioni, le sensazioni, le percezioni di fronte ad un simile spettacolo. Per accostarsi al mistero divino e scrutarne il significato più nascosto, l’artista realizza un’opera unica ed inedita ma la rende più accessibile al credente.
Nella progettualità, nella precisione di ogni dettaglio, il sentimento estetico non viene meno. Il luogo sacro trionfa di luce. I blu cobalto, i rossi, i gialli, l’ambra, i verdi  accentuano il senso del profondo e si riempiono di eloquente significato. Attraverso i volti degli angeli il corso ciclico della vita costantemente si rinnova.
Gli occhi, energia attiva, forza interiore ed empireo scintillante, scrutano oltre il vetro ed abbracciano con lo sguardo i fedeli.
Nella controfacciata s’inserisce la figura perfetta del cerchio. Collegato alla volta celeste infinita ed eterna, esprime la fiamma generatrice di ogni forma di vita. È esaltazione del mondo superiore, è luce che trionfa sul buio.
L’artista accorcia la distanza tra umano e divino. Sublima la materia, la innalza, dialoga con l’universalità e l’eterno, precisando il luogo della Parola.
Una musica, frutto dell’armonia di forme e colori, filtra attraverso piccole finestre ed unisce segretamente, secondando l’adorazione dello Spirito. Lo splendore divino  evoca l’origine della luce umana.
Fede e ragione divengono unica realtà: la profondità dell’uomo, ricolma di Dio, esulta nello Spirito.

Silvia Scarpulla

I testi riportati sono ripresi dalla pubblicazione "La Chiesa di San Paolo a Librizzi. Icona di splendore tra i Nebrodi", (a cura di Basilio Scalisi) edito dalla Diocesi di Patti, Settembre 2004

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