LA CATECHESI DEL VESCOVO

 

Sitit sitiri Deus

Omelia a Tindari, 29 aprile 2006, per il conferimento dell'Ordine Sacro
del Diaconato a Salvatore Lipari e del Presbiterato a don Antonio Mancuso

1.   Il Santo Spirito è con noi imprevedibile.
È certo segno dell’imprevedibilità dell’amore di Dio la chiamata di Salvatore e, più ancora, di Antonio. Meno di 10 anni fa egli, eletto dai suoi concittadini, amministrava Ficarra; oggi grato e confuso, gioioso e trepidante, eletto da Cristo Signore, nella mia persona di vescovo della Chiesa, si accinge ad altro tipo di servizio, circondato da altro tipo di consenso dei familiari, degli amici, dei già colleghi, della chiesa intera. Come è vero che il Signore è fuori dei nostri schemi e viene non percorrendo autostrade ma, come canta il salmo,
‘sul mare passa la sua via, i suoi sentieri sulle grandi acque le tue orme rimangono invisibili’  e chiama chi vuole, come vuole, quando vuole. Molta è la messe. Noi vediamo solo crisi e dimentichiamo il solenne canto della Veglia Pasquale: Cristo ieri e oggi. Principio e fine. Alfa e Omega. A lui appartengono il tempo e i secoli. A lui la gloria e il potere per tutti i secoli.

2. Il Santo Spirito è provvido.

È segno della sua provvidenza:
a) l’incontro con una persona e la possibilità di intravederne la storia personale, la ricchezza e varietà, il fiorire e la risposta alla vocazione. E questo che vale sempre, oggi ci riguarda per d. Salvatore Lipari da S. Stefano di Camastra, e don Antonio Mancuso da Ficarra, che pervengono ad una tappa significativa del loro cammino umano e cristiano e nel senso specificamente ovvio per questa nostra assemblea.
b) (È segno della sua provvidenza:) la proclamazione della santa Parola propria della III domenica di Pasqua: «II Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato; (…) Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, così come i vostri capi; Dio però ha adempiuto così ciò che aveva annunziato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo sarebbe morto. Pentitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati» (At 3,13-17).
In sintesi, abbiamo peccato, siamo peccatori: verità non soggetta a discussioni; se, appena, consentiamo di tenere gli occhi della mente sulla verità.


3. Peccatori come siamo:

a) abbiamo bisogno di un sommo sacerdote santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli;
che non ha bisogno ogni giorno, come gli altri sommi sacerdoti, di offrire sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo, poiché egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso (Eb 7,26-27);
b) questo grande sacerdote l’abbiamo, è Gesù che ha attraversato i cieli; è Gesù, Figlio di Dio, che sa compatire le nostre infermità (Eb 4,14-15).


4. L’amore di Dio
. Come parlarne? Come cantarne in modo apprezzabilmente accettabile? L’attività di Gesù sacerdote si svolge nel tempo e nello spazio come è nella natura dell’uomo ed egli è Dio fatto uomo, Dio in mezzo a noi.
Per quelli che siamo venuti e per quelli che verranno fuori del suo tempo e in altro spazio egli ha partecipato il suo sacerdozio a tutti i battezzati per la consacrazione di tutta realtà, a quelli che specificamente chiamiamo sacerdoti, per la predicazione e per l’amministrazione dei sacramenti, nel triplice grado dell’episcopato, del presbiterato e del diaconato.
Dalla predicazione della parola, dall’amministrazione dei sacramenti, l’edificazione della comunità, della Chiesa, del corpo santo di Cristo.


5. Qui, qui l’identità del sacerdozio
.
Questo il dono che la chiesa sa preziosissimo. Questo il dono che partecipo a don Salvatore Lipari e a don Antonio Mancuso oggi, nel Santuario della Madonna Nera, vero centro della diocesi pattese. Assemblea santa, amici e figli carissimi, sostiamo insieme in grata adorazione. Dando e ricevendo questo dono non possiamo non andare con la mente, ad alcune almeno, delle condizioni nelle quali il dono troverà la sua esplicitazione.
a) ‘Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa, c'erano anche alcuni Greci.
Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsaida di Galilea, e gli chiesero: «Signore, vogliamo vedere Gesù» (Gv 12, 20-21).
Sì, incontrerete fratelli che con i linguaggi più diversi vi diranno ‘vogliamo vedere Gesù’. Per questi fratelli, Antonio dovrai essere in grado di rendere operante la promessa del Signore: ‘Lo sazierò di lunghi giorni e gli mostrerò la mia salvezza’.
Per questi fratelli dovrai sapere
dire: Cristo è morto per nostri peccati ed è risorto per la nostra salvezza. Noi che, per la fede e per il battesimo, siamo una cosa con lui, moriremo e risorgeremo con lui con l’ovvia esigenza di vivere da risorti.
b) Molti, troppi, forse, sono tristi. Forse, perché nessuno ha trasmesso: «Ecco infatti io creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente,
poiché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare, e farò di Gerusalemme una gioia, del suo popolo un gaudio» (Is 65,17-18).r
Tu, don Antonio, dovrai saperlo di dire. Concretamente. Realisticamente. Senti il Maestro, anzi guardalo. Egli annunziava loro la parola. Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone.
Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov’egli si trovava e, fatta un'apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati». Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se n’andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!» (Mc 2,3-5.12).
Tu non parlerai del perdono; tu, in nome di Dio, darai il perdono; ed è cosa del tutto diversa; e con la gioia nel cuore, cantando i fratelli ti diranno: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!»
c) Molti dicono: chi ci farà vedere il bene? Tu dovrai essere attrezzato per testimoniare che il Signore ha messo più gioia nel tuo cuore di quando abbondano vino e frumento. E che egli solo, il Signore, al sicuro ti fa riposare (cfr. Sal 4,8-9).
d) Ogni creatura vuole, ha bisogno di essere amata e d’amare: noi sappiamo che l’Amore esiste, ha parlato, è entrato nella storia, ha una storia. Tu dovrai mettere a disposizione dei fratelli la gioia del ruolo che ti è dato che consiste nel custodire le parole del Signore, nell’esperimentare la dolcezza di essere a lui vicini, nell’abitare i suoi atri e nel sapere che ci sazieremo dei beni della sua casa (cfr. Sal 64).

Grande il dono e, dunque, grandemente delicato
. La vita divina che c’è data nello Spirito: o è condivisa, o non è secondo lo Spirito; consiste nel camminare insieme verso la santità; fermarsi, accontentarsi (non camminare) è morire; pensare di camminare da soli è illusione blasfema, avere altra meta che non sia la santità è fuorviante.

6.
Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica».
Gesù, dunque, si propone Signore e Maestro da imitare. Da imitare servo che lava i piedi.
C’è da guardare, riflettere, meditare, pregare, decidere, agire. Gesù, vero Dio e vero uomo, si pone al servizio dei discepoli; questi devono essere a servizio della Chiesa; con essa, i discepoli, devono servire gli uomini.
E il servizio consiste nel proporre loro, con l’esempio un modo di vivere alternativo a quello largamente presente attorno a noi pasciuto di sensualità, impregnato di egoismo, si esalta nel potere, semina morte nei cuori, nelle famiglie, nella società, tra i popoli. Di tale servizio gli uomini hanno bisogno ma non lo sanno. Lo sappiamo noi cui è giunto l’amore del Padre, noi illuminati da Cristo, noi fortificati dal Santo Spirito. A noi spetta:
a) testimoniare che ‘Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti.
Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo’ (1Cor 15,20-22);
b) coinvolgere nel canto gioioso e nel servizio ‘poiché l’amore di Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro’(2 Cor 5, 14-15); 
_
c) proiettare nella vivificante speranza che ‘se quando eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio, per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, dal quale ora abbiamo ottenuto la riconciliazione’ (Rm 5,10-11).


7.
Fratelli amatissimi, mi accingo ad imporre le mani a d. Antonio e a d. Salvatore pieno di gioia, di trepidazione e di santa speranza.
Mi sostiene la tensione orante di cui vibra questa santa assemblea. La vostra vicinanza, fratelli sacerdoti, mi fortifica. Con me, voi imporrete le mani sul capo del presbitero novello; voi lo accetterete nel nostro ordine; voi con la vostra presenza orante sostenete lui e me.
E mi sostiene la presenza di così bella rappresentanza della nostra chiesa pattese che, lo sento, fa memoria della fedeltà del Signore e dichiara la propria fedeltà. La presenza, poi, di tanti giovani dà sostanza alla gioia serena con cui guardiamo al futuro in generale e della nostra chiesa, in specie. Tra i giovani che sono qui e tra quelli che qui non hanno potuto essere, sono tanti quelli che non si limitano a guardare al bello, al buono che fanno gli altri, all’impegno di donazione totale che assumono questa sera d. Antonio e d. Salvatore.
Grazie, giovani virgulti della Chiesa di Benedetto, Cono, Nicola, Febronia, Pietro, Lorenzo.
Ascoltate e prendete coraggio dalla professione di gioiosa fedeltà dei miei fratelli sacerdoti e fatela vostra: ‘Ho detto a Dio: «Sei tu il mio Signore, senza di te non ho alcun bene». Si affrettino altri a costruire idoli. Il Signore è mia parte d’eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita. Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi, è magnifica la mia eredità. Io pongo sempre innanzi a me il Signore, sta alla mia destra, non posso vacillare.Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra’ (dal Sal 16).

 

Dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli ulivi

Lettera ai Presbiteri del 10 Giugno 2006

1.   L’anno liturgico, con la solennità della Pentecoste, ha portato a compimento la presentazione del mistero nascosto da sempre in Dio e ora rivelato in Gesù: Dio è entusiasta del mondo, è animato da un pregiudizio favorevole all’uomo che ne anima l’attività creatrice prima e di recupero poi.
Dio non si contenta di volere genericamente il bene dell’uomo. Egli con l’uomo vuole condividere la sua pienezza di vita. Raffigurandoci la vita divina come un banchetto festivo - l’immagine proviene da Gesù - possiamo dire che Dio vuole l’uomo commensale a questo banchetto.
La condivisione della festa di Dio, da parte dell’uomo, comprende che Dio condivida tutto dell’umanità.
E sarà bene tenere sempre viva la parola di Paolo che, con poche pennellate, dice l’indicibile: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2, 5-8).
A noi fa velo l’abitudine ma i primi discepoli trovavano indegno che Dio entrasse nell’orizzonte umano comparendo, per di più, non in una terra celebrata Gerico, per esempio, o Hebron, Gerusalemme, Galgala, Meghiddo, ma nell’oscura Nazaret ignota, quasi alla Legge, ai Profeti e agli Scritti.
Dio condivide la sorte dell’uomo, Dio con l’uomo solidale, questa è la porta della salvezza: “per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra d’ogni altro nome;
perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (Fil 2, 9-11). E notiamo che di fatti si tratta non di parole.
La fede cristiana non è un bel racconto, una bella interpretazione.
Gesù affida l’opera sua e l’opera dei suoi allo Spirito. E lo Spirito è Creatore, intensità, concretezza, luce di verità, fuoco che modella, vento che, smuovendo, anima ciò che è stagnante e senza vita.
“La mia vita è infiammata” testimoniava Caterina da Siena. Ed è lo Spirito che, se attraversa una vita, la infiamma. Giovani che trascinano la vita per inventarsi bravate, anziani impegnati a ‘passare il tempo’ senza curiosità, senza interesse, maestri demotivati, discepoli inviati e divenuti sale che non condisce, luce spenta, rannicchiata sotto il moggio sono il contrario della vita animata dallo Spirito.


2.
   Portato a termine il mistero cristiano nella sua interezza, lo stesso anno liturgico, nel cosiddetto tempo ordinario, presenta aspetti particolari dello stesso mistero cristiano e, cioè, della vita di Cristo che entra in comunione affettiva ed effettiva con l’uomo.
In questa luce la celebrazione delle solennità della Santissima Trinità, del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo e del Sacratissimo Cuore di Gesù.


3.
   La fede del popolo fedele, che sente molto questo aspetto del mistero cristiano ed ha molto arricchito quest’ultima celebrazione, ha la sua radice nella parola di Gesù. Per aiutarci ad imitare il popolo cristiano, iniziamo con il rinnovato ascolto del racconto evangelico.
“Il traditore, disse: «Rabbi, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l'hai detto».
Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: «Prendete e mangiate; questo è il mio corpo». Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio». E dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.” (Mt 26, 25-30)
Stando alle indicazioni della raccolta delle tradizioni ebraiche che va sotto il nome di Mishnah, l’inno cui fa riferimento il testo evangelico è:

Alleluia. Lodate, servi del Signore, lodate il nome del Signore.
_
Sia benedetto il nome del Signore, ora e sempre.
_
Dal sorgere del sole al suo tramonto sia lodato il nome del Signore.
_
Su tutti i popoli eccelso è il Signore, più alta dei cieli è la sua gloria.

Chi è pari al Signore nostro Dio che siede nell'alto.

e si china a guadare nei cieli e sulla terra?
_
Solleva l'indigente dalla polvere, dall'immondizia rialza il povero,
_
per farlo sedere tra i principi, tra i principi del suo popolo.
_
Fa abitare la sterile nella sua casa quale madre gioiosa di figli 
(Sal 113).
Il Talmud asserisce che, durante la cena pasquale, dalle case degli ebrei esce un respiro di lode che, superati i tetti, giunge fino al cielo: “La Pasqua - dice - è saporosa come l’oliva e l’Hallel oltrepassa i tetti delle case per giungere il trono di Dio”.
Bello il respiro di lode e appropriata la fragranza dell’olio evocati e noi utilmente ce ne approprieremo facendo nostri i sentimenti di Gesù ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice.


4.
   Gesù, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell’attesa della sua venuta, si affida alla Chiesa.
Affida, poi, a noi sacerdoti, la presidenza dell’assemblea, di parlare e agire come se fossimo lui, fatti partecipi in modo del tutto particolare del suo sacerdozio.
Da qui derivano il dovere, la gioia, la responsabilità, l’impegno, il compito d’essere consonanti con lui. E tale consonanza, che va ben oltre una generica devozione e attenzione, non si improvvisa.
San Girolamo, a lode di Nepoziano, nella Lettera ad Eliodoro, scrive che con la lettura e la meditazione assidue aveva fatto del suo petto la biblioteca di Cristo.
Basta qui che richiami, sintetizzando al massimo, l’insegnamento costante, peraltro ben conosciuto, dei maestri di spirito.
*  Sii sacrificio e sacerdote di Dio.
*  Rivestiti della stola della santità.
*  Cingiti della cintura della castità.
*  Sia Cristo velo sulla tua testa.
*  Stia la croce a baluardo sulla tua fronte.
*  Apponi al tuo petto il sacramento della scienza divina.
*  Brucia sempre il profumo della sacra orazione.
*  Afferra la spada dello spirito.

*  Fa’ del tuo cuore un altare e offri così sicuro il tuo corpo vittima a Dio.
*  Offri la fede, in modo che sia punita ogni perfidia e brilli la santità della vita.


5.
   Senza altro intento che quello di accendere il desiderio di bere a qualcosa che scuota il velo dell’assuefazione, che può giocare qualche brutto scherzo al fervore che ci deve animare quando ci accostiamo all’altare, riporto un brano ben noto dell’Imitazione di Cristo:

«
Cap. 8 - L’oblazione di Cristo e la nostra
Il Signore

1.   Con le braccia stese sulla croce, tutto nudo il corpo, io offersi liberamente me stesso a Dio Padre, per i tuoi peccati, cosicché nulla fosse in me che non si trasformasse interamente in sacrificio, per placare Iddio.
Allo stesso modo anche tu devi offrire a me volontariamente te stesso, con tutte le tue forze e con tutto il tuo slancio, dal più profondo del cuore, in oblazione pura e santa.
Che cosa posso io desiderare da te più di questo, che tu cerchi di offrirti a me interamente?
Qualunque cosa tu mi dia, fuor che te stesso, l'ho per un nulla, perché io non cerco il tuo dono, ma te.
2. Come non ti basterebbe avere tutto, all'infuori di me, così neppure a me potrebbe piacere qualunque cosa tu mi dessi, senza l'offerta di te.
Offriti a me; da’ te stesso totalmente a Dio: così l'oblazione sarà gradita.
Ecco, io mi offersi tutto al Padre, per te; diedi persino tutto il mio corpo e il mio sangue in cibo, perché io potessi essere tutto tuo e perché tu fossi sempre con me.
Se tu, invece, resterai chiuso in te, senza offrire volontariamente te stesso secondo la mia volontà, l'offerta non sarebbe piena e la nostra unione non sarebbe perfetta.
Perché, se vuoi giungere alla vera libertà e avere la mia grazia, ogni tuo atto deve essere preceduto dalla piena offerta di te stesso nelle mani di Dio.
Proprio per questo sono così pochi coloro che raggiungono la luce e l'interiore libertà, perché non sanno rinnegare totalmente se stessi.
Immutabili sono le mie parole: se uno non avrà rinunciato a «tutto, non potrà essere mio discepolo» (Lc 14, 33).
Tu, dunque, se vuoi essere mio discepolo, offriti a me con tutto il cuore.


Cap. 9 - Dobbiamo offrire a Dio noi e le nostre cose e pregare per tutti

Il Discepolo

1. Tue sono tutte le cose, o Signore, quelle del cielo e quelle della terra: a te voglio, liberamente, offrire me stesso e restare tuo per sempre. O Signore, con cuore sincero, oggi io mi dono a te in perpetuo servizio, in obbedienza e in sacrificio di lode perenne.
Accettami, insieme con questa offerta santa del tuo corpo prezioso, che io - alla presenza e con l’assistenza invisibile degli angeli - ora ti faccio, per la mia salvezza e per la salvezza di tutto il tuo popolo.
2.   O Signore, sull'altare della tua espiazione offro a te tutti i miei peccati e le colpe da me commesse al cospetto tuo e dei tuoi santi angeli, dal giorno in cui fui capace di peccare fino ad oggi; affinché tutto tu accenda e consumi nel fuoco del tuo amore, cancellando ogni macchia dei miei peccati; affinché tu purifichi la mia coscienza da ogni colpa, affinché tu mi ridia la tua grazia, che ho perduta col peccato, tutto perdonando e misericordiosamente accogliendomi nel bacio della pace.
3.   Che posso io fare per i miei peccati, se non confessarli umilmente nel pianto e pregare senza posa per avere la tua intercessione?
Ti scongiuro, dammi benevolo ascolto, mentre mi pongo dinanzi a te, o mio Dio.
Grande disgusto io provo per tutti i miei peccati; non voglio più commetterne, anzi di essi mi dolgo e mi dorrò per tutta la vita, pronto a fare penitenza e, per quanto io possa, a pagare per essi.
Rimetti, o Signore, rimetti i miei peccati, per il tuo santo nome: salva l'anima mia, che tu hai redenta con il tuo sangue prezioso. Ecco, io mi affido alla tua misericordia; mi metto nelle tue mani.
Opera tu con me secondo la tua bontà, non secondo la mia perfidia e la mia iniquità.
4.   Anche tutto quello che ho di buono, per quanto sia molto poco e imperfetto, lo offro a te, affinché tu lo perfezioni e lo santifichi; affinché ti sia gradito e tu voglia accettarlo, accrescendone il valore, affinché tu voglia portarmi - inoperoso e inutile piccolo uomo, qual sono - ad un termine beato e glorioso.
5.   Offro parimenti a te tutti i buoni desideri delle persone devote e le necessità dei parenti e degli amici, dei fratelli e delle sorelle, di tutti i miei cari e di coloro che per amor tuo, fecero del bene a me o ad altri; infine di tutte le persone - quelle ancora in vita e quelle che già hanno lasciato questo mondo - che da me desiderarono e chiesero preghiere e sante Messe, per loro e per tutti i loro cari.
Che tutti sentano venire sopra di sé l'aiuto della tua grazia, l'abbondanza della consolazione, la protezione dai pericoli, la liberazione dalle pene! Che tutti, liberati da ogni male, ti rendano in letizia grazie solenni.
6.   Ancora, e in modo speciale, ti offro preghiere e sacrifici d’espiazione per quelli che mi hanno fatto qualche torto, mi hanno cagionato dolore, mi hanno calunniato o recato danno, mi hanno messo in difficoltà; e anche per tutti quelli ai quali io ho dato talora motivo di tristezza e di turbamento, di dolore o di scandalo, con parole o con fatti, consciamente oppure no, affinché tu perdoni parimenti a tutti noi i nostri peccati e le offese vicendevoli.
O Signore, strappa dai nostri cuori ogni sospetto, ogni sdegno, ogni collera, ogni contesa e tutto ciò che possa ferire la carità e affievolire l'amore fraterno.
Abbi compassione, o Signore, di noi che imploriamo la tua misericordia; concedi la tua grazia a noi che ne abbiamo bisogno; fa che noi siamo fatti degni di godere della tua grazia e che possiamo avanzare verso la vita eterna.».

 

 


Sappiamo in Chi abbiamo posto la nostra speranza

Lettera ai Presbiteri del 13 Ottobre 2006

Carissimi,
1.              il mese d’ottobre, per consolidata, condivisa e ovvia tradizione, ci vede impegnati a ‘riprendere’ le attività dopo la pausa estiva.
Vale per l’attività agricola, vale per il mondo scolastico con il coinvolgimento di tutte le famiglie e vale per l’attività pastorale.
Essa ci coinvolge tutti in forza del solo Battesimo.
Ogni dono, infatti, è da Dio ed è per servire perché il talento della fede che comprende la misericordia di Dio, la speranza della risurrezione e di pienezza, la luce sul senso della vita, del lavorare, del soffrire, dell’amare, non può essere tenuto egoisticamente per sé stessi, ma dev’essere testimoniato, messo a frutto, convertito in azioni.

2.    Nel contesto di ‘ripresa’, penso che possa giovare la proposta di riflessione di un intellettuale del quale vi sarà capitato di leggere nei quotidiani.

Diffidate di coloro che, quando proponete loro un piano di grande respiro dicono: “non si può”.
È gente morta dentro, che preferisce continuare la sua vita pigra, egoista, oppure, che non vuole che voi riusciate perché teme il vostro successo. Quante volte ho incontrato persone di questo genere nella mia vita.
Ricordo un rettore che voleva tenere tutto immobile, un direttore che distruggeva i suoi migliori collaboratori per malvagità e decine di invidiosi che mi consigliavano di rinunciare “per il mio bene”.
Invece se hai un progetto fondato sui bisogni reali, sulle esigenze dell’industria, sulla domanda dei consumatori, per quanto appaia a prima vista impossibile, puoi realizzarlo. Sempre.
Mi viene in mente F. De Lesseps, l’ingegnere francese che ha realizzato il taglio del Canale di Suez.
Un canale che univa il Mediterraneo all’Oceano Indiano c’era sotto i faraoni, c’era durante l’Impero romano, poi era stato coperto dalle sabbie. Era assurdo che nell’Ottocento, in pieno sviluppo industriale, si continuasse a circumnavigare l’Africa. Eppure quanti ostacoli, difficoltà, ostracismi gli furono fatti! Alla fine vinse, morì povero, la sua statua è stata abbattuta da nazionalisti fanatici egiziani ma il canale esiste.
Ma per riuscire in una impresa devi crederci fino in fondo, prodigarti fino in fondo, convincere gli altri e non farti deviare dalla meta.
Troverai sempre qualcuno che ti propone una strada più facile, già battuta, più sicura.
Invece no, se vuoi creare qualcosa di nuovo e di utile non devi mai imitare, non devi fare mai quello che gli altri hanno già fatto.
E devi allontanare chi ti dissuade, i pessimisti, i pigri, i dubbiosi e tenere fisso lo sguardo sullo scopo.
Infine devi dimenticarti di te stesso, considerarti solo un mezzo, non un fine.
Allora vincerai, perché la gente capirà che lo fai non per te ma per loro. È incredibile la forza che nasce dal disinteresse.

3.    Noi non siamo chiamati a costruire il canale di Suez e nemmanco quella araba fenice del ponte tra Cariddi e Scilla. Siamo chiamati a fare giungere la lettera del Padre ai suoi figli talvolta colpevoli e talaltra vittime della loro distrazione.
Siamo chiamati ad aiutare le comunità, di cui facciamo parte e al cui servizio siamo posti, a passare da massa indistinta a popolo.
Popolo consapevole, articolato, responsabile, in crescita.
Siamo chiamati ad aiutarci ed aiutare a proporre e realizzare un modello di vita e di società alternativo a quello largamente diffuso che, partendo dall’egoismo, dal profitto, dal culto incondizionato del proprio particulare, genera i mostri che si chiamano guerra, razzismo, arricchimento, spregio della persona.
Siamo chiamati a fare in modo che la Bibbia largamente diffusa divenga criterio di valutazione di parole, pensieri e comportamenti e, più ancora, tramite privilegiato per conoscere Gesù il suo amore, lo splendore della sua gloria, la novità del suo modo di essere, per rendere persuasi che nessuno ha parlato come lui, l’unico che ha parole di vita eterna. 
Pure le nostre carni possono esperimentare i morsi dello sconforto.
Pure noi possiamo essere tentati di dare spazio ai profeti di sventura.
Pure noi.
Noi però sappiamo in Chi abbiamo posto la nostra speranza, siamo educati ai tempi lunghi della maturazione umana e della pedagogia divina, abbiamo sentito risuonare confortante dentro di noi la parola del Signore “altri semina e altri miete, mi troveranno pure quelli che non mi cercavano”.

 

 


Venne ad abitare in mezzo a noi

Lettera ai Presbiteri del 10 Novembre 2006

Carissimi,
1.         volge al termine l'anno liturgico 2006 e, con l’Avvento, avrà inizio il nuovo anno Domini, il 2007^ a partu Virginis, reparatae salutis. Ho elencato tre modi differenti che la tradizione cristiana ha utilizzato per esprimere lo stupore esperimentato dinanzi all’annunzio dell’unico fatto autenticamente nuovo, capace di recuperare la vita dal non senso, di indicarne il valore, di additare la destinazione del viaggio che ogni uomo intraprende appena giunto su questa terra.
I pagani avvertivano tale viaggio come marcia inesorabile verso la morte, verso il nulla. E la morte poteva pure apparire bella in quanto liberazione dai limiti che costellano le stagioni della vita, ma essa, la morte è solo e sempre schifosa.
Qualcuno lo scriveva, come qualche altro scriveva di sentirsi, prossimo alla morte, come un viaggiatore scoperto, al controllo, senza biglietto a certificare la consapevolezza della destinazione.
La massa poi non aveva manco il tempo di discettare di vita e di morte, inghiottita com’era, dalla fatica del vivere.

2.
  A rischiarare quelli che stavano nelle tenebre e nell'ombra della morte, giunge sconvolgente la notizia che Dio ha visitato e redento il suo popolo, e ha suscitato per noi una salvezza potente nella casa di Davide, suo servo. Del resto, già per mezzo degli antichi profeti, aveva promesso: salvezza dai nostri nemici, e dalle mani di quanti ci odiano. Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri e si è ricordato della sua alleanza, del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre, di concederci, liberati dalle mani dei nemici, di servirlo senza timore, in santità e giustizia al suo cospetto, per tutti i nostri giorni. (Cfr Lc 1,68-76).
Queste parole sono ovviamente facilmente riconoscibili, ovvie, memorizzate da sempre. Il guaio è che non sempre scalfiscono la superficie delle coscienze rese coriacee dall’abitudine, dalla superficialità, dalla cattiva testimonianza, dal peccato.


3.
  Eppure, eppure… Immaginiamo di sentire per la prima volta che Dio si è fatto uomo! Se Dio si è fatto uomo nulla è più come prima, nulla può essere veramente nuovo, tutto è autenticamente nuovo.
Dio che si fa uomo è l’unica realtà che può riempire il cuore dell’uomo che si esperimenta così piccolo da non bastare a se stesso e così grande che niente lo può soddisfare se non Dio stesso che, creandolo, l’ha sagomato su di sé.
Lo stupore dinanzi a Dio che viene, uomo in mezzo a noi uomini, è abisso mai perfettamente attinto. Possiamo aiutarci, dobbiamo fermarci aiutandoci, traendo dalla riflessione orante stimolo alla imitazione come suggeriscono i credenti di ogni generazione.
Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (Cfr. Fil 2, 5-8).


4.
  Egli, l’Eterno, che viene ad abitare in mezzo a noi è la scaturigine dello stupore non appena da gustare ma da annunciare. Anzi questa è la ‘notizia’, la ‘bella notizia’, l’evangelo’, di essa tutto il resto è contorno, preparazione, conseguenza; di essa siamo debitori a tutti.

5.
  La famiglia e, analogamente, la parrocchia se vogliono adempiere al loro dovere educativo devono testimoniare alla generazione nuova la destinazione che ha la permanenza su questa terra.
E quando si parla di radici cristiane della nostra Europa deve essere chiaro che esse non stanno in un paio di righe più o meno contorte inserite in testi chilometrici eminenti per la capacità di dire senza dire, ma nella palpitante consapevolezza che non siamo più soli dato che Dio ha posto la sua tra le nostre abitazioni. Definitivamente.


6.
  Parole antiche e conosciute le nostre che servono però ad veicolare la sostanza della nostra fede e sono, dunque, le uniche autenticamente giovani. Proviamo a leggere con animo nuovo la stessa fede in un testo meno noto e ugualmente vivo. Ve lo propongo:
«Canterò senza fine le grazie del Signore, con la mia bocca annunzierò la tua fedeltà nei secoli, perché hai detto: "La mia grazia rimane per sempre"; la tua fedeltà è fondata nei cieli.
Ho stretto un'alleanza con il mio eletto, ho giurato a Davide mio servo: stabilirò per sempre la tua discendenza, ti darò un trono che duri nei secoli". I cieli cantano le tue meraviglie, Signore, la tua fedeltà nell'assemblea dei santi.
Chi sulle nubi è uguale al Signore, chi è simile al Signore tra gli angeli di Dio. Dio è tremendo nell'assemblea dei santi, grande e terribile tra quanti lo circondano.
Chi è uguale a te, Signore, Dio degli eserciti? Sei potente, Signore, e la tua fedeltà ti fa corona. Tu domini l'orgoglio del mare, tu plachi il tumulto dei suoi flutti. Tu hai calpestato Raab come un vinto, con braccio potente hai disperso i tuoi nemici.
Tuoi sono i cieli, tua è la terra, tu hai fondato il mondo e quanto contiene; il settentrione e il mezzogiorno tu li hai creati, il Tabor e l'Ermon cantano il tuo nome. È potente il tuo braccio, forte la tua mano, alta la tua destra.
Giustizia e diritto sono la base del tuo trono, grazia e fedeltà precedono il tuo volto.
Beato il popolo che ti sa acclamare e cammina, o Signore, alla luce del tuo volto: esulta tutto il giorno nel tuo nome, nella tua giustizia trova la sua gloria.
Perché tu sei il vanto della sua forza e con il tuo favore innalzi la nostra potenza. Perché del Signore è il nostro scudo, il nostro re, del Santo d'Israele.
Un tempo parlasti in visione ai tuoi santi dicendo: "Ho portato aiuto a un prode, ho innalzato un eletto tra il mio popolo.
Ho trovato Davide, mio servo, con il mio santo olio l'ho consacrato;  la mia mano è il suo sostegno, il mio braccio è la sua forza. Su di lui non trionferà il nemico, né l'opprimerà l'iniquo. Annienterò davanti a lui i suoi nemici e colpirò quelli che lo odiano.
La mia fedeltà e la mia grazia saranno con lui e nel mio nome si innalzerà la sua potenza. Stenderò sul mare la sua mano e sui fiumi la sua destra.
Egli mi invocherà: Tu sei mio padre, mio Dio e roccia della mia salvezza. Io lo costituirò mio primogenito, il più alto tra i re della terra.
Gli conserverò sempre la mia grazia, la mia alleanza gli sarà fedele. Stabilirò per sempre la sua discendenza, il suo trono come i giorni del cielo» (cfr Sal 88).

Buona meditazione, carissimi, buona preghiera. Buona predicazione.
Buon approccio per noi e per quanti portiamo nel cuore con il mistero di Dio che viene. 

 

Dio ha posto la sua tra le nostre dimore

Lettera ai Presbiteri del 15 Dicembre 2006

Carissimi,
dicembre conclude l’anno civile ed è il mese che ci porta alla meditazione sugli inizi della nostra fede.


1. 
Rende bene questa caratteristica ed è molto adatta a svegliare lo stupore dinanzi all’imprevedibilità dell’amore di Dio una ben nota antica preghiera che riporto.
È veramente buono, giusto, doveroso e salvifico ringraziare sempre e dappertutto il Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per mezzo di Cristo nostro Signore.
Al suo primo avvento nell’umiltà della nostra natura umana egli portò a compimento la promessa antica, e ci aprì la via dell’eterna salvezza.
Verrà di nuovo nello splendore della gloria, e ci chiamerà a possedere il regno promesso che ora osiamo sperare vigilanti nell’attesa.
Noi, insieme agli angeli, cantiamo con gioia l’inno della sua lode.


2.
  Grande il compito del battezzato che deve:
a) gustare l’altezza dell’amore di Dio che, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.; (Fil 2)
b) rinnovare la consapevolezza che Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra d’ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre. (ib. );

c) avere gli stessi sentimenti di Cristo Gesù, con l'unione degli spiriti, con la stessa carità, con i medesimi sentimenti, nulla facendo per spirito di rivalità o per vanagloria, ma con tutta umiltà, considerando gli altri superiori, senza cercare l’interesse proprio, ma anche quello degli altri. (ib.)
d) proclamare per tutti la bella notizia del Salvatore nato per noi come gli angeli nella notte di Betlemme: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia". E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama".  E come, nella stessa campagna di Giudea, i pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l'angelo disse loro: "Non temete, ecco vi annunzio una gran gioia, che sarà di tutto il popolo: appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: "Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere". Andarono dunque senz'indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano.  I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro. Come Maria la madre, che, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore (Cfr Lc 2 passim).


3.
  Il battezzato, discepolo del Risorto, vive lo stupore della pienezza del tempo nel quale Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessero l'adozione a figli (Gal 4,4-5)._
Vita che esige apertura al dono di Dio operante con la forza del suo Spirito, sostegno esperimentato nella comunanza di vita coi fratelli che condividono la stessa fede, impegno ascetico personale che si alimenta nella gioia che nasce dalla consapevolezza di corrispondere all’Amore fedele e sempre nuovo.
Apertura, ideale e vita nella comunità ecclesiale nel concreto articolarsi di ministeri, carismi e doni, impegno ascetico: il tutto connesso vitalmente dal vino che rallegra il cuore dell’uomo, dall’olio che fa brillare il suo il volto e dal pane che sostiene il suo vigore (Sal 103, 15).


4.
  La consuetudine degli auguri nelle maggiori festività dell’anno è radicata nelle considerazioni appena riportate. Noi non vogliamo mancare a tale consuetudine e, dunque, fervidi auguri: la consapevolezza di essere inseriti nella storia dell’amore divino ci consoli, ci fortifichi, ci faccia operare determinati, costanti, efficaci.
Per meglio esprimermi faccio mie le parole dell’apostolo: Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio d’ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio (2 Cor 1,3-4).


5.
  Dunque Dio si è fatto uomo, ha posto la sua tra le nostre dimore. Questo avvenimento motiva la mia vita, esso stesso esige che, nel mio piccolo, me ne faccia banditore ed araldo.
a) Meditando, cantando, predicando:
è veramente buono, giusto, doveroso e salvifico ringraziare sempre e dappertutto il Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per mezzo di Cristo nostro Signore.
Al suo primo avvento nell’umiltà della nostra natura umana egli portò a compimento la promessa antica, e ci aprì la via dell’eterna salvezza.
Verrà di nuovo nello splendore della gloria, ci chiamerà a possedere il regno promesso che ora, vigilanti, speriamo di conseguire nell’attesa, intessuta di speranza e di lode.
b) La meditazione, il canto, la predicazione sono destinate alla sterilità se alla grazia di Dio che accompagna il banditore della lieta notizia manca un modo di condurre la vita del quale la predicazione stessa si possa intendere come didascalia. L’angelo annunzia la gioia radicata nel nuovo Nato.
Il predicatore credibile non può essere separato dalla gioia autentica. Cristo morto per i nostri peccati e risorto per la nostra salvezza è fondamento della fede cristiana.
Il battezzato in tanto è valido predicatore in quanto vive da morto a quanto è riconducibile al peccato e risorto alla vita da figlio di Dio, pensoso senza essere barboso, consapevole senza essere arrogante e sprezzante; aperto a rapporti autenticamente umani e ben lontano dal pensare di potere dare senso alla propria vita incurante degli altri; impegnato nel parentado, nel vicinato, nel quartiere, nella professione.
La vita è talento da trafficare diligentemente e di cui rendere conto. Così il Maestro Divino. La corrispondenza tra il talento e l’esergo che esso reca è garanzia d’autenticità e, dunque, di valore.
Che la nostra chiesa pattese sia splendida della vita di noi suoi figli: è il mio augurio che accompagno con la pastorale benedizione.

 

Ed ecco, era cosa molto buona

Lettera ai Presbiteri del 12 Gennaio 2007

Carissimi,
la bontà del Padre, per mezzo di Gesù Sacerdote Pastore Grande, Mediatore e Salvatore Unico, nello Spirito Santo, ci dona un nuovo anno.

Lo ringraziamo dal profondo del cuore e vogliamo che la nostra vita sia inno di gratitudine.

Speriamo, dal suo dono e dal nostro corale impegno, che esso sia anno di grazia (Lc 4,19) per la famiglia umana, per la Chiesa sparsa come grano sui colli di tutto il mondo, per la Chiesa pattese col suo presbiterio, i chierici, i battezzati.

Il nostro servizio, lo sappiamo, è in esecuzione del mandato del Signore che ci affida il suo Vangelo per predicarlo mostrandone la verità con il testimoniarlo insieme, per tutti con diligenza e intelligenza perché, se sempre lo stesso è Cristo (Lettera agli Ebrei), in profondo, travolgente, globale mutamento è l’uomo destinatario.

 

1. Può riuscire opportuno riascoltare che il Concilio, «penetrato più a fondo il mistero della Chiesa, rivolge la sua parola non più ai soli figli della Chiesa e a tutti coloro che invocano il nome di Cristo, ma a tutti gli uomini.

«A tutti vuol esporre come esso intende la presenza e l’azione della Chiesa nel mondo contemporaneo. Il mondo che esso ha presente è perciò quello degli uomini, ossia l'intera famiglia umana in tutte quelle realtà entro le quali essa vive; il mondo che è teatro della storia del genere umano, e reca i segni degli sforzi dell'uomo, delle sue sconfitte e delle sue vittorie; il mondo che i cristiani credono creato e conservato in esistenza dall'amore del Creatore: esso è caduto, certo, sotto la schiavitù del peccato, ma Cristo, con la croce e la risurrezione ha spezzato il potere del Maligno e l'ha liberato e destinato, secondo il proposito divino, a trasformarsi e a giungere al suo compimento» (GS 2).

Si tratta di una dichiarazione d’intenti con la quale il Concilio orienta il suo sguardo sul mondo in luce positiva, vedendolo come luogo teologico.

La visione moraleggiante del mondo che fa capolino, talvolta, nel modo di parlare, valutare e agire, è dal Magistero superata.

Concepire il mondo come l'opposto dell'uomo, dello spirito, della Chiesa, implica affermare un dualismo dannoso e falso.

Può riuscire utile precisare tre dimensioni nell’intendere cosa diciamo con la parola mondo. Cose che sappiamo, giustamente, si dice e qui si vuole solo ricordare, in vista della comune utilità.

* In chiave cosmologica e antropologica, il mondo è l'uomo, in tutta la realtà; l'uomo centro della creazione.

* In chiave culturale «è il teatro della storia del genere umano e reca i segni degli sforzi suoi, delle sue sconfitte e delle sue vittorie »; è l'umanità in quanto, con le sue libere scelte, dà senso e indirizzo alla propria vita e a tutta la realtà.

* In chiave teologica è oggetto diretto, intenzionale, esplicito del piano di Dio: i cristiani crediamo che il mondo è creato e conservato nell'esistenza dall'amore del Creatore; il mondo, non siamo né ingenui né ottimisti a buon mercato, è posto sotto il segno del peccato, ma è redento da Cristo ed è destinato, questo è il progetto di Dio, a trasformarsi e a giungere al suo compimento!

Il Concilio meditando la Parola, afferma con eguale convinta forza, primo che c’è distinzione fra Dio e il mondo e, secondo, che c’è unità nella storia nella quale Dio opera.

Di più, insegna il Concilio che il mondo cammina verso la sua pienezza o perfezione in Dio stesso che, alla fine dei tempi, Egli, Dio, farà cieli e terra nuovi.

Secondo il solenne Magistero della Chiesa, dunque, il mondo è realtà che avanza verso il suo compimento, misteriosamente condotto dall'amore di Dio.

Sta a noi capire come l'uomo, nel suo sforzo per essere e per costruire il mondo, di fatto, procede verso il regno di Dio, e come la Chiesa, parte essa stessa del mondo, è vocata a servire l'uomo, perché entri nel regno di Dio.
 

2. Visione religiosa della realtà economica mondo.

Non è allora cristiano lasciarsi andare a banalità sul presente del mondo o, ed è l’identica cosa, alla magnificazione acritica e smemorata del passato. Il mondo è dato all’uomo, ma la grandiosità del dono non deve fare velo al fatto che il mondo è dato all'uomo come compito.

Lungo il corso della storia, l'uomo lotta per cercare risposte alle sue necessità, per organizzare la convivenza e crea, così le diverse civiltà, la preminenza di certi valori su altri.

L'uomo è chiamato a dominare la terra, a crescere come persona e come comunità umana. Proprio tale crescita è il suo compito.

Quando l'uomo cerca le risposte alle sue necessità primarie come assicurarsi cibo, vestito, casa, salute, in una parola i beni economico/socia-li, non insegue primariamente il gusto del possesso ma, anzitutto, la protezione della propria vita. Egli cerca di durare come essere vivente e di non morire inane e impotente.

Quando si sforza di dominare e porre la natura al suo servizio, chiede, in definitiva, di vivere. È questa la motivazione profonda.

Vivere, voler vivere, è un atteggiamento profondamente umano. È accettare l'esistenza, è accettare la vita come preferibile al non esistere, è accogliere la vita come un dono prezioso e degno di essere conservato.

Quest’atteggiamento profondamente umano è anche atteggiamento inizialmente religioso. L’uomo che vuole vivere, consapevolmente o no, è nella dinamica della creazione e, implicitamente, loda Dio, autore della vita.

L'uomo che non vuole vivere, in realtà odia la propria vita, se stesso, la creazione e Dio stesso. Perciò, è normale che l'uomo, di qualunque religione, abbia fatto e faccia della vita e della morte un momento essenziale e religioso.

Anche oggi, le tante attuali lotte per il lavoro, la casa, la salute, non sono ricerca indebita di beni economici, materialismo mascherato, attentato all'ordine costituito ma elemento profondamente umano e inizialmente religioso.
 

3. Visione religiosa della realtà politica.

Analogamente, quando l'uomo tende a formarsi una famiglia e a stabilire relazioni di convivenza con gli altri uomini e a costituirsi in popolo, che cosa cerca?

Quando uomo e donna si uniscono per completarsi cercano di uscire dall’isolamento, dalla solitudine dell'individuo, per rapportarsi ed essere, così, persone.

È l'uomo che vuole uscire dall'anonimato, dalla propria impotenza, per aprirsi, nel dono di sé, alla comunione con altri e condividere tutto ciò che è e che ha, e costituire così una nuova realtà. Di più, attraverso l’incontro, vuole che l'amore, perdurando e prolungandosi nei figli, diventi storia.

Nella comunità di vita e di amore coniugale, l'uomo esprime la sua aspirazione più profonda: una convivenza umana come famiglia, che viene a essere segno e germe della fraternità universale.

È nella stessa linea la tensione ad uscire dal piccolo mondo familiare per integrarsi in gruppo umano più vasto. È l'ambito «politico» in cui la persona fa l'esperienza dell'altro e degli altri, coi quali forma gruppi umani sempre più ampi. L'uomo tende così a essere «qualcuno», riconosciuto nel consorzio sociale, partecipe e corresponsabile del destino comune, popolo, soggetto collettivo, parte della storia.

Attraverso l'integrazione in una comunità nazionale, l'uomo è in condizione di esperimentare la storia.

Attraverso la comunità nazionale si apre a tutti i popoli e fa l'esperienza della storia come realtà universale, come insieme di popoli che, insieme, lottano per la crescita dell'umanità.

Ora, il voler uscire dall'isolamento, dalla solitudine, dall'anonimato, per stabilire rapporti di comunione, di partecipazione, a livello familiare e a livello nazionale e internazionale, ha indubbiamente un profondo significato umano.

È la volontà di assumere, più o meno consapevolmente, la responsabilità del destino dell'altro, degli altri, dell'umanità.

Così si supera l’esperienza individuale, familiare e nazionale del rapporto con l'altro, per aprirsi al bene universale e si sperimenta la relatività del possesso delle cose, perché, senza armonia e concordia con gli altri, ossia, senza giustizia e amore, la vita non ha senso, non è vita ma morte nello spirito.

E tale significato racchiude, in germe, una valenza religiosa.

L'uomo volendo il bene universale, tendendo ad esso e assumendone la responsabilità, s’inserisce, che lo sappia o no, nella dinamica dell'amore evangelico che, per l’appunto, tende all'universalità degli uomini e delle genti.

Per questo, oltre alla dimensione economica, l'uomo, in tutti i tempi, ha sentito come fatto religioso, non solo il matrimonio ma anche la pace, come armonia di convivenza, e la guerra, come legittima difesa.

Sempre per questo, alla lotta per uscire dall'emarginazione e dall'anonimato, onde conoscere di più, avere di più per essere di più, per prendere parte nelle decisioni, va riconosciuto valore, in radice, religioso.
 

4. Visione religiosa della realtà culturale.

Un altro ambito nel quale l'uomo esprime il suo essere mondo è quello della cultura. Quando l'uomo vuole trovare e dare senso alla vita e alla morte, al bene e al male, al rapporto con la natura e con gli altri, cerca, prima di tutto, di uscire dal non senso, da una situazione infantile e dare un perché, un indirizzo alla propria esistenza, una spiegazione, un obiettivo alla propria esistenza.

Cerca cioè di superare la condizione vicina al determinismo animale per elevarsi alla condizione di persona mediante la conoscenza e la libertà.

Al fondo di tutto ciò c’è la ricerca che non si può eludere del vero e del bene. E tale atteggiamento, profondamente umano, ha dato origine alle varie culture che è come dire ai modi di essere, sentire e agire di fronte alla vita, alla morte, alla natura, al tempo, al lavoro, al dolore, ecc. Così sono sorte culture fatalistiche e culture penetrate di speranza; culture più contemplative e culture più dedite a valutare l’efficienza immediata; culture più sensibili al bello e più inclini al pratico.

I diversi gruppi umani, di fronte alle stesse realtà, reagiscono in modo diverso, a seconda della propria sintesi di valori e, cioè, della propria cultura. L’uomo, dunque, e i popoli che difendono la loro cultura, difendono in realtà la loro identità; e quando cercano di integrare in sintesi dinamica quello che scoprono di nuovo, arricchiscono la loro cultura. Così offrono qualcosa di proprio alla convivenza dei popoli, il loro senso della vita, il loro stile di vita.

Anche la realtà profonda che chiamiamo cultura, poiché appartiene a quanto vi è di più nobile nell'uomo, è pure quanto vi è di più prossimo al fatto religioso.

Anzi, la ricerca del vero, del bene e del vero, se procede da coscienza sincera e retta, è senz'altro atto religioso, dal momento che ciò che, coscientemente o inconsciamente, si cerca è l'Assoluto, il Tutto, Dio stesso, Verità, Bene e Bellezza suprema.

È pertanto legittimo affermare che la cultura, le relazioni umane e il senso religioso della vita si richiamano, sostengono e motivano vicendevolmente.

L’uomo manifesta nei suoi atteggiamenti più essenzialmente umani la sua natura radicalmente religiosa. Quando egli fa il mondo più umano, risponde all’esigenza del senso della vita che gli viene  dal  Creatore, esprime la propria natura religiosa.
 

5. Cosa dona la fede all’esperienza umana.

La fede non è realtà divina semplicemente accostata e sovrapposta alla già esistente realtà umana. Essa è dono gratuito (virtù teologale) col quale Dio rivela all’uomo il senso di tutta la realtà. Quello che Dio rivela non è esteriore all'uomo ma, in germe, è già presente in lui, sebbene non possa conoscerlo totalmente senza la fede. Dio ci rivela ciò che sta all'origine e al termine, ciò che costituisce il presente di tutta la realtà, ossia il suo (di Dio) proposito, la sua intenzione, il suo piano che costituisce il fondamento stesso dell'esistenza.

La fede viene a compiere e a mettere nella sua luce definitiva quanto l'uomo arriva a scoprire e a fare solo in parte. La fede, quindi, come senso della vita offre un modo di vivere il mondo, la storia, con riferimento a Dio. È il senso cristiano dell'«essere-mondo» che perfeziona e porta a compimento il senso umano. Accogliere la fede vuol dire vivere le dimensioni umane dell'«essere-mondo» (economia, famiglia, politica, cultura) nella prospettiva della comunione con Dio e con gli uomini, in Cristo.
 

6. La fede dischiude orizzonti nuovi.

a) Luce della fede sull’esperienza economica

Dominare la natura, con tutte le attività che questo implica, sia scientifiche, che tecniche o economico-sociali, è compito conforme al piano di Dio e che ha come senso la costruzione della fraternità umana. Questa fraternità si realizza solo se tutti gli uomini possono effettivamente aver parte ai beni della terra e se possono esercitare i loro diritti fondamentali.

Riconoscere la vita come dono del Dio vivente prescindendo dalla partecipazione ai beni e senza l’esercizio dei diritti fondamentali è vacuo esercizio retorico. Attraverso il lavoro, la scienza, la tecnica, il progresso, gli uomini potranno esprimersi come immagine di Dio, a livello individuale e, soprattutto come comunità umana.

La comunità, a fronte di disuguaglianze non umane, non può raggiungere la statura che esige la fede. L'uomo attua il suo essere signore del mondo tanto quanto crea una situazione più giusta. Compie la sua vocazione di con-creatore mettendo la natura al servizio di tutta l'umanità.

b) Luce della fede sull’esperienza politica

Formare una famiglia, alla luce della fede, significa vivere l'amore scambievole con la gratuità incondizionata con cui Dio ama. Allora dare la vita l’uno per l’altro viene a essere un segno dell'amore di Dio, ne manifesta la natura attualizzando l'amore con cui Cristo ha amato la sua Chiesa, dando cioè la vita per lei. Manifesta l'ideale stesso delle relazioni umane che consiste nella comunione con Dio vissuta nell'amore fraterno.

La famiglia risulta pertanto sacramento dei rapporti fra gli uomini, segno e strumento della fraternità universale, la cui piena manifestazione avverrà «nel giorno del Signore».

Anche l'impegno politico inteso e realizzato alla luce della fede, significa far propria la causa dell'intera umanità, per costruire, passo dopo passo, una convivenza umana più giusta e più autentica nell'amore. Pure in quest’ambito, l’amore cristiano significa dare la vita, gratuitamente e incondizionatamente, perché tutti gli uomini realizzino la loro vocazione personale e collettiva.

Vivere l'amore, il dono di sé, come risposta a Dio nell’universalità degli uomini e dei popoli. Vivere l'umanità come Corpo di Cristo. Impegnarsi nella crescita di questo Corpo fino alla pienezza. Affermazioni che suonano utopiche, sembrano un sogno. Sono l’utopia e il sogno della politica da cristiani.

c) Luce della fede sull’esperienza culturale

Sempre nella fede, identificarsi come popolo, affermare la propria originalità, comunicare i valori delle diverse culture, alla ricerca di una verità sempre più completa, assume un senso molto profondo.

È un'affermazione, un'espressione della multiforme manifestazione di Dio; è il cammino di tutte le genti verso quella comunione che culmina nella comunione stessa di Dio, Padre, Figlio e Spirito.

Comunione, quella di cui parliamo, già realizzata in Cristo e donata all'uomo mediante lo Spirito, così che è presente in germe e sarà manifestata al ritorno del Signore. La fede, insomma, offre la comprensione profonda della vita e, con ciò, conferisce pienezza alle varie culture integrandole e stimola la crescita qualitativa dello spirito e delle doti di ogni popolo.

7. In sintesi
, sia detto a modo di immagine, superata perché non evangelica la visione piramidale che colloca Dio al vertice per scendere al Papa, ai vescovi, ai sacerdoti, agli anonimi battezzati e, più giù ancora, al mondo tutto posto sotto l’influsso del maligno, occorre superare la visione del mondo e della chiesa come realtà che vanno per i fatti loro, una indifferente o armata contro l’altra.

La storia santa non è parallela alla storia del mondo. È la stessa storia del mondo. Fatta e abitata da ombre, tenebre, drammi, tragedie. In essa Dio, dopo esservi entrato, è presente e all’opera. Egli dona “il vino che allieta il cuore dell'uomo, l'olio che fa brillare il suo volto e il pane che sostiene il suo vigore” (Sal 103,15).

La fede offre stimoli ed energie impensate, prospettive inedite. Stimoli, energie e prospettive sono chiamata e responsabilità.

Seguendole, l’uomo lascia cadere i moralismi, vince le paure, vede positivo, esperimenta l’ebbrezza della benignità.  E la benignità è lente mirabile che calamita verso il bene, il bello, il vero, pone l’uomo nella filiera della realizzazione della sua vocazione di signore del mondo accanto al suo Signore, di creatore accanto al suo Creatore.
 

8. Gesù, all’inizio del ministero messianico, nella sinagoga di Nazaret, legge e riferisce a sé l’oracolo d’Isaia:

«Lo Spirito del Signore è sopra di me;

per questo mi ha consacrato con l'unzione,

e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio,

per proclamare ai prigionieri la liberazione

e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi,

e predicare un anno di grazia del Signore» (S. Luca).
 

Che il 2007 appena avviato sia anno di grazia del Signore per la nostra Chiesa pattese a servizio del mondo.

Che questo servizio ci trovi vivaci e disponibili a vedere che il mondo, radicalmente buono perché opera di Dio, è nella attesa del dono del Vangelo: è il mio augurio.

Lo sostengo con la preghiera che quotidianamente elevo al Padre, per mezzo di Gesù, nello Spirito Santo con voi e per voi.

 

Il sì a Dio e al mondo

Lettera ai Presbiteri del 9 Febbraio 2007

1.   A modo di premessa.
a)   Condizione perché l’esperienza religiosa cristiana sia autentica è che sia ‘detta’  per un popolo con il linguaggio di quel popolo, che sia, come si dice di solito, inculturata, cioè, situata nello spazio e nel tempo.
b)   Se il Concilio e il Magistero dei Vescovi italiani ci avvertono che siamo ad una svolta culturale (cfr. GS 5 e 54-55 e La Chiesa Italiana e prospettive del paese) noi deduciamo che ci troviamo davanti all’esaurimento del modello di esperienza religiosa fatta di sole tradizioni sociali.
c)   Il rinnovamento della Chiesa dipende dall’incontro armonioso e coerente tra le quattro componenti: 1) pastorale, 2) ministeriale, 3) teologica e 4) spirituale. E quando avviene un mutamento culturale profondo, in quanto tocca cioè i modelli di vita e l’autocoscienza umana, è inevitabile, necessaria, indispensabile e urgente la riforma o rifondazione di quelle quattro componenti.
d)   Tali componenti, però, sono disuguali: determinante è la componente spirituale senza della quale le altre tre non stanno in piedi. Sono necessarie, ma sul principio e fondamento di una nuova esperienza spirituale.


2.   S. Ignazio di Loyola,
al quale volentieri ci si riferisce quando si parla a questo livello, ha posto la centralità dell’uomo alla base dell’autentico e riconosciuto ministero di guida esercitato per quattro secoli.
Ciò facendo aveva bene individuato, non senza uno speciale dono dello Spirito, il carattere essenziale dell’allora esordiente epoca moderna. Tanto era stato teo-centrico il medioevo, tanto la modernità si avviava a diventare antropocentrica.
Egli aveva individuato un metodo adatto per favorire l’esperienza della ricerca della volontà di Dio nel tipo di uomo che andava nascendo, nel tipo di società che andava delineandosi. Quell’uomo, quella società egli doveva servire.
La scoperta è stata tempestiva e meritoria. Fino a quel tempo l’accesso agli stati di vita, religioso ed ecclesiastico, era affare di alcuni, soprattutto nobili, ora, la “scelta dello stato di vita” si universalizzava. Non andava più da sé, spontaneamente. Diventava questione universale ed ogni battezzato diventava potenziale  soggetto nella Chiesa Cattolica.
S. Ignazio favorisce l’attenzione alla  interiorità, riformando l’esperienza religiosa. Egli delimita il ruolo clericale nella scelta dello stato di vita come risposta alla volontà di Dio.
Evento, questo, decisivo perché ad esso è legata la salvezza, la maggior gloria di Dio, il bene della chiesa e del mondo. Vale la pena riportare dagli Esercizi:

«
Chi li dà non deve spingere chi li riceve più verso la povertà o la promessa che verso i loro opposti, né a uno stato o modo di vivere piuttosto che ad un altro.
«
Perché sebbene fuori degli esercizi possiamo spingere, lecitamente e meritoriamente, tutte le persone che probabilmente ne avessero le capacità a scegliere continenza, verginità, stato religioso e ogni tipo di perfezione evangelica, tuttavia in questi esercizi spirituali è più conveniente e molto meglio, poiché si cerca la divina volontà, che lo stesso Creatore e Signore si comunichi alla sua anima devota abbracciandola con il suo amore e la sua gloria e predisponendola alla via nella quale meglio possa servirlo in appresso.
«
Perciò chi li dà non propenda, né si inclini verso l’una o verso l’altra parte, ma stando nel mezzo, come una bilancia, lasci operare il Creatore con la creatura e la creatura con il suo Creatore e Signore»
.
Gli Esercizi di S. Ignazio che hanno educato intere generazioni, oltre che itinerario e metodo spirituale, definiscono una forma fondamentale di realizzazione della Chiesa.
Se si aggiunge la creazione dei Seminari per la formazione al ministero del prete-pastore, si vede in atto il modo con cui la Chiesa Cattolica risponde alla svolta della modernità.
Risulta allora logico che la Chiesa Cattolica si affidi ai Gesuiti per la formazione del suo personale e che gli Esercizi spirituali divengano la forma della sua interiorità.
Non occorre acume particolare per registrare un limite storico e, perciò, l’attesa di una sintesi migliore per un disegno globale della  riforma della Chiesa e delle Chiese.


3.  La scoperta della volontà di Dio oggi.

Utilizzando la terminologia che sempre più diventa comune, possiamo dire che i nostri giorni vedono la fine della modernità, dell’uomo maschilista e patriarcale, della società coloniale e della Chiesa eurocentrica e l’inizio della post-modernità, dell’uomo-donna in relazione, del mondo interdipendente, globalizzato e pluriculturale, della “Chiesa mondiale”, del cammino ecumenico tra confessioni cristiane e del dialogo tra religioni mondiali.
Il contesto in cui viviamo sfida l’esperienza religiosa, su due versanti:
*    il primo è segnato dal passaggio dal soggetto individuo al soggetto in-relazione. Questo essere in relazione vale per l’uomo in se stesso, come essere connotato dalla socialità e dalla comunicabilità, nella sua espressione basilare come coppia, come mondi culturali in reciproco confronto; è la fine del… “con-fine” inteso come identità caratterizzata per autoreferenzialità e l’inizio dell’identità definita per via di alterità: alterità di origine nell’evento della nascita, alterità di stile nel confronto e nei processi, alterità di destinazione;
*    il secondo, quello del passaggio dalla ricerca dello “stato di vita personale”, che vede la volontà di Dio e la sua ricerca come riguardanti la singola persona, alla ricerca dello “stato del mondo” al cui interno si pone inscindibilmente lo stato di vita della persona.
La domanda “quale mondo” e la persuasione era di essere in una società che aveva il diritto-dovere, il compito di espandersi con la propria forma di mondo agli altri popoli, liberandoli da oscurantismo e inciviltà.
Non diverso era il sentire nel campo ecclesiastico e l’opera missionaria, conseguentemente, veniva intesa come attività di espansione, esportazione e riproduzione del modello ecclesiastico già esperimentato nella vecchia Europa.
In questo contesto era impensabile che ci si interrogasse teologicamente sul mondo come problema.


4.  Il mondo come questione teologica.

Improponibile in passato, il problema mondo, oggi, invece esplode in modo drammatico. Dato che il problema mondo non esisteva, non poteva esistere la questione di “quale mondo” e la ricerca della volontà di Dio in sant’Ignazio, e nei movimenti che hanno preso il via da lui, non poteva che limitarsi alla questione di “quale stato di vita” per il cristiano.
La situazione di interdipendenza e di globalità tipica di oggi, scatena, in tutta la sua forza, la questione mondo.
Il mondo emerge come dramma, risulta  abbandonato alla logica mercantile, che non tiene conto della dignità umana. In teoria se ne fa un gran parlare, in senso generale e teoricamente, ma gran parte della famiglia umana è e resta  oppressa e alienata.
La Chiesa esperimenta di essere impotente e percepisce, sempre più drammaticamente il mondo come questione teologica. Ci manca una “via teologica” per accedere al mondo, non riusciamo a fare vivere e servire il mondo “ex parte Dei”.


5. Un nuovo metodo spirituale.

La Chiesa, l’intero popolo di Dio riunito dal Cristo, è chiamata (occorre rileggere GS 3) dallo Spirito a dimostrare solidarietà, rispetto e amore verso l'intera famiglia umana, dentro la quale è inserita. Con tre grandi linee di azione:

*    instaurare con l’intera famiglia umana un dialogo sui vari problemi sopra accennati;
*    proiettare su di essi la luce del Vangelo;
*    mettere a disposizione le energie di salvezza che essa, sotto la guida dello Spirito Santo, riceve dal suo Fondatore.

Perché questo possa avvenire le occorrono, però, modello e metodo nuovi per vivere l’esperienza religiosa fondamentale, con due caratteristiche nuove:
*    la Chiesa-popolo di Dio come soggetto mistico, che tutto insieme, nella unità e nella diversità dei suoi doni-carismi-ministeri, viva la ricerca e la scelta della volontà di Dio, con l’esperienza comunitaria delle consolazioni di Dio;
* la forma - mondo come oggetto di tale ricerca - scelta, riscoprendo la globalità e la totalità non a partire dal proprio stato di vita, ma riscoprendo il proprio stato di vita a partire dalla globalità e dalla totalità.
Sarà così possibile edificare la Chiesa che dipinge la Gaudium et Spes:

«
Il santo Concilio, proclamando la grandezza somma della vocazione dell'uomo e la presenza in lui di un germe divino, offre all'umanità la cooperazione sincera della Chiesa, al fine d'instaurare quella fraternità universale che corrisponda a tale vocazione.
«
Nessuna ambizione terrena spinge la Chiesa; essa mira a questo solo: continuare, sotto la guida dello Spirito consolatore, l'opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito».

Questa riproposta della esperienza religiosa, proprio per potersi realizzare - come già insegna sant’Ignazio - ha bisogno di un metodo adatto, che sia in condizione di coinvolgere come soggetto l’intera Chiesa locale, comunità una e diversificata, e di avere come oggetto il discernimento sulla status del mondo nella sua complessità.
Con la mia benedizione e con l’impegno della preghiera con e per voi, vi benedico di cuore.

X Ignazio Vescovo

 Nota  Con il solo intento di essere più immediatamente utile, vi propongo di utilizzare per la personale meditazione alcuni testi. 

[   Dalla Parola di Dio

*     Gv 3,14-17: E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna". Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui.

*     Gv 6,32-40: Rispose loro Gesù: "In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi da il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e da la vita al mondo". Allora gli dissero: "Signore, dacci sempre questo pane". Gesù rispose: "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete. Vi ho detto però che voi mi avete visto e non credete. Tutto ciò che il Padre mi da, verrà a me; colui che viene a me, non lo respingerò, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno".

*     Gv 12,31-32: Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me.

*     Gv 17,1-2: Così parlò Gesù. Quindi, alzati gli occhi al cielo, disse: "Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te. Poiché tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato.

*     Ebrei 1,1-4: Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo. Questo Figlio, che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, si è assiso alla destra della maestà nell’alto dei cieli, ed è diventato tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.

[   Dal Magistero della chiesa

*     GS 5: Il movimento stesso della storia diventa così rapido, da poter difficilmente esser seguito dai singoli uomini. Unico diventa il destino dell’umana società o senza diversificarsi più in tante storie separate. Così il genere umano passa da una concezione piuttosto statica dell'ordine delle cose, ad una concezione più dinamica ed evolutiva. Ciò favorisce il sorgere di un formidabile complesso di nuovi problemi, che stimola ad analisi e a sintesi nuove.

*     GS 54: Le condizioni di vita dell'uomo moderno, sotto l'aspetto sociale e culturale, sono profondamente cambiate, così che è lecito parlare di una nuova epoca della storia umana. Di qui si aprono nuove vie per perfezionare e diffondere più largamente la cultura.

Esse sono state preparate da un grandioso sviluppo delle scienze naturali e umane, anche sociali, dal progresso delle tecniche, dallo sviluppo e dall'organizzazione degli strumenti di comunicazione sociale.

Perciò la cultura odierna è caratterizzata da alcune note distintive: le scienze dette “esatte” affinano al massimo il senso critico; i più recenti studi di psicologia spiegano in profondità l'attività umana; le scienze storiche spingono fortemente a considerare le cose sotto l'aspetto della loro mutabilità ed evoluzione; i modi di vivere ed i costumi diventano sempre più uniformi; l'industrializzazione, l'urbanesimo e le altre cause che favoriscono la vita collettiva creano nuove forme di cultura (cultura di massa), da cui nascono nuovi modi di pensare, di agire, di impiegare il tempo libero; lo sviluppo dei rapporti fra le varie nazioni e le classi sociali rivela più ampiamente a tutti e a ciascuno i tesori delle diverse forme di cultura, e così poco a poco si prepara una forma di cultura umana più universale, la quale tanto più promuove ed esprime l'unità del genere umano, quanto meglio rispetta le particolarità delle diverse culture.

*     GS 55: Cresce sempre più il numero degli uomini e delle donne d’ogni gruppo o nazione che prendono coscienza d’essere artefici e promotori della cultura della propria comunità.

In tutto il mondo si sviluppa sempre più il senso dell'autonomia e della responsabilità, cosa che è di somma importanza per la maturità spirituale e morale dell'umanità.

Ciò appare ancor più chiaramente se teniamo presente l'unificazione del mondo e il compito che ci s’impone di costruire un mondo migliore nella verità e nella giustizia.

In tal modo siamo testimoni della nascita d'un nuovo umanesimo, in cui l'uomo si definisce anzitutto per la sua responsabilità verso i suoi fratelli e verso la storia.

*     GS 22: In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm 5,14) e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione. Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte in lui trovino la loro sorgente e tocchino il loro vertice.
Egli è “l'immagine dell'invisibile Iddio” è l'uomo perfetto che ha restituito ai figli d’Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato. Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata ad una dignità sublime. Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo.
Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con intelligenza d'uomo, ha agito con volontà d'uomo ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato. Agnello innocente, col suo sangue sparso liberamente ci ha meritato la vita; in lui Dio ci ha riconciliati con se stesso e tra noi e ci ha strappati dalla schiavitù del diavolo e del peccato; così che ognuno di noi può dire con l'Apostolo: il Figlio di Dio “ mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me” (Gal 2,20). Soffrendo per noi non ci ha dato semplicemente l'esempio perché seguiamo le sue orme ma ci ha anche aperta la strada: se la seguiamo, la vita e la morte vengono santificate e acquistano nuovo significato.
Il cristiano poi, reso conforme all'immagine del Figlio che è il primogenito tra molti fratelli riceve “le primizie dello Spirito” (Rm 8,23) per cui diventa capace di adempiere la legge nuova dell'amore. In virtù di questo Spirito, che è il “pegno dell’eredità” (Ef 1,14), tutto l'uomo viene interiormente rinnovato, nell'attesa della redenzione del corpo: “Se in voi dimora lo Spirito di colui che risuscitò Gesù da morte, egli che ha risuscitato Gesù Cristo da morte darà vita anche ai vostri corpi mortali, mediante il suo Spirito che abita in voi” (Rm 8,11). Il cristiano certamente è assillato dalla necessità e dal dovere di combattere contro il male attraverso molte tribolazioni, e di subire la morte; ma, associato al mistero pasquale, diventando conforme al Cristo nella morte, così anche andrà incontro alla risurrezione fortificato dalla speranza.
E ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale.
Tale e così grande è il mistero dell'uomo, questo mistero che la Rivelazione cristiana fa brillare agli occhi dei credenti. Per Cristo e in Cristo riceve luce quell'enigma del dolore e della morte, che al di fuori del suo Vangelo ci opprime. Con la sua morte egli ha distrutto la morte, con la sua risurrezione ci ha fatto dono della vita, perché anche noi, diventando figli col Figlio, possiamo pregare esclamando nello Spirito: Abba, Padre!.

*     GS 32: Come Dio creò gli uomini non perché vivessero individualisticamente, ma perché si unissero in società, così a lui anche “… piacque santificare e salvare gli uomini non a uno ad uno, fuori di ogni mutuo legame, ma volle costituirli in popolo, che lo conoscesse nella verità e santamente lo servisse”.

Sin dall'inizio della storia della salvezza, egli stesso ha scelto degli uomini, non soltanto come individui ma come membri di una certa comunità Infatti questi eletti Dio, manifestando il suo disegno, chiamò a suo popolo. Con questo popolo poi strinse il patto sul Sinai.

Tale carattere comunitario è perfezionato e compiuto dall'opera di Cristo Gesù. Lo stesso Verbo incarnato volle essere partecipe della solidarietà umana. Prese parte alle nozze di Cana, entrò nella casa di Zaccheo, mangiò con i pubblicani e i peccatori.

Ha rivelato l'amore del Padre e la magnifica vocazione degli uomini ricordando gli aspetti più ordinari della vita sociale e adoperando linguaggio e immagini della vita d'ogni giorno. Santificò le relazioni umane, innanzitutto quelle familiari, dalle quali trae origine la vita sociale. Si sottomise volontariamente alle leggi della sua patria. Volle condurre la vita di un artigiano del suo tempo e della sua regione.

Nella sua predicazione ha chiaramente affermato che i figli di Dio hanno l'obbligo di trattarsi vicendevolmente come fratelli.

Nella sua preghiera chiese che tutti i suoi discepoli fossero una “cosa sola”. Anzi egli stesso si offrì per tutti fino alla morte, lui il redentore di tutti. “Nessuno ha maggior amore di chi sacrifica la propria vita per i suoi amici” (Gv 15,13).

Comandò inoltre agli apostoli di annunciare il messaggio evangelico a tutte le genti, perché il genere umano diventasse la famiglia di Dio, nella quale la pienezza della legge fosse l'amore.

Primogenito tra molti fratelli, dopo la sua morte e risurrezione ha istituito attraverso il dono del suo Spirito una nuova comunione fraterna fra tutti coloro che l'accolgono con la fede e la carità: essa si realizza nel suo corpo, che è la Chiesa.

In questo corpo tutti, membri tra di loro, si debbono prestare servizi reciproci, secondo i doni diversi loro concessi.

Questa solidarietà dovrà sempre essere accresciuta, fino a quel giorno in cui sarà consumata; in quel giorno gli uomini, salvati dalla grazia, renderanno gloria perfetta a Dio, come famiglia amata da Dio e da Cristo, loro fratello.

*     GS 38: Il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, fattosi carne lui stesso e venuto ad abitare sulla terra degli uomini, entrò nella storia del mondo come uomo perfetto, assumendo questa e ricapitolandola in sé.

Egli ci rivela “ che Dio è carità ” (1Gv 4,8) e insieme c’insegna che la legge fondamentale dell’umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento dell'amore.

Coloro pertanto che credono alla carità divina, sono da lui resi certi che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani.

Così pure egli ammonisce a non camminare sulla strada della carità solamente nelle grandi cose, bensì e soprattutto nelle circostanze ordinarie della vita.

Accettando di morire per noi tutti peccatori, egli c’insegna con il suo esempio che è necessario anche portare quella croce che dalla carne e dal mondo viene messa sulle spalle di quanti cercano la pace e la giustizia.

Con la sua risurrezione costituito Signore, egli, il Cristo cui è stato dato ogni potere in cielo e in terra, agisce ora nel cuore degli uomini con la virtù del suo Spirito; non solo suscita il desiderio del mondo futuro, ma con ciò stesso ispira anche, purifica e fortifica quei generosi propositi con i quali la famiglia degli uomini cerca di rendere più umana la propria vita e di sottomettere a questo fine tutta la terra.

Ma i doni dello Spirito sono vari: alcuni li chiama a dare testimonianza manifesta al desiderio della dimora celeste, contribuendo così a mantenerlo vivo nell'umanità; altri li chiama a consacrarsi al servizio terreno degli uomini, così da preparare - attraverso tale loro ministero - quasi la materia per il regno dei cieli.

Di tutti, però, fa degli uomini liberi, in quanto nel rinnegamento dell'egoismo e convogliando tutte le forze terrene verso la vita umana, essi si proiettano nel futuro, quando l'umanità stessa diventerà offerta accetta a Dio.

Un pegno di questa speranza e un alimento per il cammino il Signore lo ha lasciato ai suoi in quel sacramento della fede nel quale elementi naturali coltivati dall'uomo vengono trasmutati nel Corpo e nel Sangue glorioso di lui, in un banchetto di comunione fraterna che è pregustazione del convito del cielo.

*     GS 39: Ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e l'umanità e non sappiamo in che modo sarà trasformato l'universo. Passa certamente l'aspetto di questo mondo, deformato dal peccato.

Sappiamo però dalla Rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà in modo sovrabbondante tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini.

Allora, vinta la morte, i figli di Dio saranno risuscitati in Cristo, e ciò che fu seminato in infermità e corruzione rivestirà l'incorruttibilità; resterà la carità coi suoi frutti, e sarà liberata dalla schiavitù della vanità tutta quella realtà che Dio ha creato appunto per l'uomo.

Certo, siamo avvertiti che niente giova all'uomo se guadagna il mondo intero ma perde se stesso.

Tuttavia l'attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione, che adombra il mondo nuovo.

Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di Cristo, tuttavia, tale progresso, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l'umana società, è di grande importanza per il regno di io.

Ed infatti quei valori, quali la dignità dell'uomo, la comunione fraterna e la libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando il Cristo rimetterà al Padre “il regno eterno ed universale: che è regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace”.

Qui sulla terra il regno è già presente, in mistero; ma con la venuta del Signore, giungerà a perfezione.

 

Alza gli occhi intorno e guarda (Is 60,4)

Lettera ai Presbiteri del 9 Marzo 2007

Carissimi, nella pagina iniziale del Notiziario dei mesi passati abbiamo cercato di farci attenti discepoli del Magistero del Concilio per superare la concezione piramidale (Dio e la Chiesa al di sopra di tutto per poi scendere, via via sempre più in basso, al mondo e al singolo) e la concezione che vede la storia sacra come parallela alla storia senza aggettivi. Ora dobbiamo continuare il nostro discepolato tenendo presenti la concezione societaria, per superarla, e quella cristologia per farla nostra.

1.   Dall’ottica societaria all’ottica cristologica.

L’ottica societaria è quella che sa vedere solo la conformità “visibile, tangibile, fruibile” delle forme storiche con la sua precomprensione dottrinale; in questa ottica è la Chiesa – con la sua autocoscienza dottrinale e morale – che si trasforma in misura concreta della verità e del bene del mondo; d’istinto, ciò che questa ottica non riesce a mettere a fuoco, è secondo i casi, irrilevante, fuorviante, erroneo.
L’ottica societaria è predisposta a cogliere la realtà secondo l’adeguatezza o inadeguatezza al vero e al bene, così come sono finora tradotte e sancite nelle forme ufficiali e dominanti della dottrina e della morale.
Gesù è l’antitesi dell’ottica societaria. Egli coglie la realtà umana non a partire dalla sua espressione sociologica - positiva o negativa - quale si offre allo sguardo immediato. Egli va “al di là” del visibile e coglie l’orientamento intenzionale che precede le parole e i gesti umani. Egli coglie le persone nello stadio  “nascente”,  anche  quando  le espressioni esterne lo contraddicono. Egli penetra con il suo sguardo amoroso nel nucleo ultimo della libertà umana, là dove essa può decidere di sé smentendo se stessa e avviando la sua risurrezione.
Così con Zaccheo (cfr Lc 18,1ss), partendo dalla sua “curiosità”, se si vuole banale, per scavare dentro di lui la curiosità per una diversa edizione di se stesso e della sua vita.
Così con l’uomo ricco (cfr Mc 10,17ss) parte dalla sua vita ordinata per aprirlo a ciò che gli mancava.
Così con la donna sorpresa in adulterio (cfr Gv 8,1ss), parte dalla sua vergogna per spingerla a credere in un'altra se stessa credendo lui per primo che in lei c’è una donna “altra”.
Così con il servo che lo percuote (cfr Gv 18,19ss), parte dalla di lui servile violenza per attizzare nella sua coscienza il fuoco di un interrogativo che non lo abbandonerà mai più: “se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; e, se ho parlato bene, perché mi percuoti”? (Gv 18,23).
Così con Simone (cfr Gv 21,15ss), parte dal suo triplice rinnegamento ed educa alla moltiplicazione degli atti d’amore e al servizio da rendere all’unità e di conferma della comunità.

2.   Nuova sensibilità cristologica.
La lettura adatta per comprendere la realtà del mondo dal punto di vista di Dio è solo la lettura cristologica. Essa si basa sul fatto che Cristo, incarnandosi, si è unito ad ogni uomo, che, risorgendo, agisce nel cuore d’ogni vivente uomo e che a Pentecoste lo Spirito è stato effuso sull’universo ed è iniziata l’ultima fase del mondo. Quando il credente pensa la realtà, il mondo, la società, la gente, la pensa solo per Cristo, con Cristo e in Cristo.
Quella del credente è, quindi, una cristologia che genera “visioni”, letture, decifrazioni, chiavi di comprensione che sono metaculturali. Cristo è, per la visione del credente, il senso della storia. Egli è la nostra grammatica per capire la società. Non solo, però, Cristo venuto, ma anche quello veniente e venturo; quello venuto è già noto, posseduto e quasi controllato e controllabile ecclesiasticamente; quello veniente e venturo non dispone solo della Chiesa,  ma del mondo e della storia per emergere inatteso, inedito, sotto mentite spoglie, nei mille segni di Giona della nostra epoca, per arricchire da ogni lato la sua Chiesa.
Alla realtà di Chiesa costituita, in quanto fatta di parole, eventi e compiti tutti canonicamente e teologalmente “definiti e garantiti”, va affiancata la diversa realtà di tutto ciò che è seminale, germinale, incipiente, imperfetto, in se stesso ambiguo e ambivalente, dove grano e zizzania sono intrecciati e non separabili.
Siamo alla relazione tra Chiesa e mondo; e le due forme ben diverse di presenza del Regno si devono integrare nella loro grande differenza di forme ed espressioni.
Quello che è sotto gli occhi - la Chiesa costituita - non deve impedire la visione panoramica e d’insieme, il colpo d’occhio che aiuta a dare profondità e come una terza dimensione alle cose e agli eventi, alle persone e alle loro parole e azioni.


3.   Come fare la lettura cristologica.

I.    L’analisi della situazione nei suoi tre passi.
È il primo passo della lettura profetica: rendersi conto del mondo in cui siamo. È la visione del mondo che è, o può essere, compito d’ogni persona, indipendentemente dalla cultura e dalla religione, in quanto parte dell’umanità. Non si tratta di fare un’analisi scientifica del mondo. Questa, peraltro, è impossibile, come impossibile è dare una visione adeguata del mondo. Si tratta di tendere ad una visione globale, sia pure limitata. Si tratta, cioè, di avere un quadro di riferimento mondiale che aiuti a conoscere la trama del mondo in cui si vive, con tutta l’umanità, per fare le nostre opzioni, comprese quelle riguardanti la fede. L’obiettivo è conoscere, comprendere e assumere la situazione storica quale essa è e non come vorremmo che fosse. Occorrono:
a)   La descrizione più completa possibile dei dati e dei fatti per arrivare ad un quadro descrittivo con l’individuazione del suo nucleo. Tale descrizione consiste nell’ascolto della situazione e si nutre d’informazioni e d’attenzione analitica alle mille sfaccettature d’ogni situazione. 
b)   L’individuazione degli avvenimenti intesi come tendenze significative, correnti di coscienza che si rivelano nei fatti e che dicono cosa vivono le persone, i gruppi e la società coinvolti.
Si tratta di individuare le aspirazioni e le sofferenze, evidenti o latenti che siano, che meglio rivelano la psicologia collettiva.
c)   La rilevazione delle sfide che si pongono davanti alla responsabilità di chi analizza la situazione.
Sono i nodi critici in cui si condensa la problematicità in gioco, le questioni di vita o di morte che mettono in gioco chi fa analisi; così chi decifra le situazioni non è analista neutro o spettatore ipercritico, bensì soggetto che si sottomette alla via crucis del pensiero per accedere alla conoscenza critica e creativa.


II.
  La contemplazione del piano di Dio in tre prospettive.
È il secondo passo della lettura profetica. Si tratta di aprire mente e cuore all’unità e all’universalità della salvezza, realizzata da Cristo Signore. Si tratta di riconoscersi parte integrante d’un dinamismo divino, universale e unitario, al quale si può liberamente accedere per Cristo nello Spirito o, anche, opporsi. Si tratta di lasciarsi attrarre dall’amore di Dio, fino a identificarsi pienamente con la sua volontà, di sperimentare e sentire che la salvezza sta nella comunione con Dio, che è anche comunione fraterna in Dio e che solo camminando tutti insieme è possibile la piena realizzazione della persona, dell’umanità, del mondo e della stessa creazione e di sentirsi, con un anelito sviscerato e permanente, nella condizione finale dell’umanità: la comunione eterna con Dio e in Dio di tutta la realtà creata.


III.
Il discernimento evangelico nei suoi tre passi.
È il terzo passo della lettura profetica dei segni dei tempi. Determinati i due poli di confronto - analisi della situazione storica e piano di Dio - si procede al discernimento della situazione, specialmente in ciò che riguarda gli avvenimenti. Si entra nel processo di conversione, cioè nel cuore della lettura profetica. Questa mira non ad indottrinare, ma a convertire. In quanto evangelico, il discernimento non è giudizio cattedratico o moralistico e dall’alto come se i credenti fossero fuori della storia. E non è il giudizio dei “buoni”, che sarebbero la Chiesa, sui “cattivi” (che sarebbe il mondo).
È il discernimento evangelico sulla situazione alla luce del piano di Dio.
Discernere, distinguere, nella situazione storica, ciò che è conforme al piano di Dio e ciò che non lo è, ciò che c’è di grazia e ciò che c’è di peccato, riconoscendo il nostro peccato come mondo, Chiesa, comunità, persona, convertendoci al dinamismo salvifico di Dio operante nella storia.  Se reale, il discernimento ha tre momenti: 1. Discernimento sugli avvenimenti, nel loro dinamismo di peccato e di grazia; 2. Confessione di peccato; 3. Conversione d’atteggiamenti.


IV.
L’impegno solidale.
È la conclusione della lettura profetica della realtà. Dopo aver visto come il male e il suo spirito sono presenti e come occorre che c’impegniamo per un movimento di rinnovamento collettivo che abbia un influsso serio in vista del rinnovamento del mondo.
È il momento di rinnovare ed esprimere il proprio impegno personale e comunitario. Si tratta di schierarsi per un balzo in avanti. Non sono ora in gioco i particolari, ma le grandi linee dell’impegno. Si dovrebbe arrivare ad offrire carta bianca, perché Gesù v’iscriva, egli v’iscriva secondo le ‘sue’ esigenze.
Ognuno, come membro del popolo di Dio e come risposta al suo progetto di salvezza universale, assume e celebra il proprio impegno. Le opzioni concrete da assumere sono per la libertà, per la croce, per la speranza, per la comunione e la solidarietà.


4.   Che fare.

     
Esercitare la memoria: pensando ai profeti della Bibbia e a personaggi interpreti significativi del passaggio di Dio nelle storie in cambiamento.
     
Meditare:
-     immaginando di essere con Gesù nella sinagoga di Nazareth, (cfr Lc 4);
-     fermandosi sulle frasi più significative, nuove, ricche, illuminanti;
-     pregando in forma libera a partire da ciò che illumina la mente;
-     spingendosi alle decisioni che mi sento sollecitato a fare per aderire alla volontà di Dio individuata nella meditazione e nella preghiera.
-     in silenzio per ascoltare le voci e le consolazioni dello Spirito.


5.
   Buon lavoro, fratelli, con desiderio vivo e operativo di aderire alla novità dello Spirito che sempre ci precede.
Ci accompagna la Vergine Madre che a Gerusalemme, a Cana, è accanto a Gesù che predica. Ella, animata dalla fede, registra che non comprende tutto. Vergine e umile, apre l’anima allo stupore e alla speranza, magnifica il Signore
Salvatore Onnipotente e Santo. L’unico che fa cose grandi spiegando la sua potenza, disperdendo i superbi, innalzando gli umili, ricolmando di beni gli affamati (cfr Lc 1). Vivificata dall’amore si lascia coinvolgere dal piano di Dio accettando di dare e soffrire.

 
 
Per vedere Pietro

Lettera ai Presbiteri del 5 Aprile 2007

Carissimi, questo Notiziario è distribuito il Giovedì Santo, giorno che ci riporta al Cenacolo con i doni dell’Eucaristia fonte e culmine del bene che è nella Chiesa, al Sacerdozio pensato da Gesù a servizio, all’unità che i discepoli sanno di ricevere e di dovere costruire, sempre da capo, come segno distintivo dei discepoli di Gesù.

1.
Questa coincidenza mi offre l’opportunità di presentarvi gli auguri pasquali. Ci siamo preparati alla Pasqua facendo nostro il cammino quaresimale e, dunque, siamo nella condizione migliore per comprendere che Cristo, morto per i nostri peccati, è risorto per la nostra salvezza. Né si tratta solo di capire. Capire si può anche senza la fede. Come si comprende e si riflette e ci si emoziona partendo dai vari miti che sono pure fonte di saggezza da spendere utilmente secondo le circostanze.
È, qui, questione di vita. Perché egli, Gesù è il vero Agnello che ha preso su di sé i peccati del mondo; egli morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha ridato a noi la vita.
‘Ha tolto’, ‘ha distrutto’, ’ha ridato’ sono azioni vere e concrete di Gesù che sono messe a mia disposizione nella celebrazione dei sacramenti.
Per noi credenti gli auguri pasquali non possono essere un esercizio verbale che, per quanto gentile, nulla dà e nulla toglie.
Presentare gli auguri significa desidero per te, sono disposto a fare qualsiasi cosa perché tu guardi a Colui che hanno trafitto, ne resti raggiante, diventi suo, accetti che Egli instauri con te il rapporto che intercorre tra la vite e i suoi tralci, tra le varie membra e il capo del corpo.
Auguri, dunque, carissimi fratelli e figli della Chiesa pattese. Auguri che accompagno con la mia benedizione, sono lieto di sapere che mi ricambiate, affido a voi perché raggiungano i molti che non avrò la gioia di raggiungere personalmente.
Vi consegno il Notiziario a ridosso di due avvenimenti di particolare valenza ecclesiale.


2.
Il primo. Nella settimana finale di marzo mi sono recato a Roma per compiere, con i vescovi delle altre 17 diocesi di Sicilia, la Visita ad Limina Apostolorum. Sapete già che cosa essa sia e, anzi, ringrazio tutti quelli che mi hanno seguito con l’affetto e la preghiera durante i gironi della trasferta romana. Reputo utile riferirvi, sia pure per sommi capi, come la Visita si è svolta ed inizio riportando, per comodità, i canoni del Codice del Diritto Canonico, la legge cioè che la riguardano.
Can. 399 - §1. Il Vescovo diocesano è tenuto a presentare ogni cinque anni una relazione al Sommo Pontefice sullo stato della diocesi affidatagli, secondo la forma e il tempo stabiliti dalla Sede Apostolica.
§2. Se l’anno determinato per la presentazione della relazione coincide in tutto o in parte con il primo biennio dall'inizio del governo della diocesi, il Vescovo, per quella volta, può astenersi dal compilare e presentare la relazione.
Can. 400 - §1. Il Vescovo diocesano nell'anno in cui è tenuto a presentare la relazione al Sommo Pontefice, se non è stato stabilito diversamente dalla Sede Apostolica, si rechi a Roma per venerare le tombe dei Beati Apostoli Pietro e Paolo e si presenti al Romano Pontefice.
§2. Il Vescovo adempia personalmente tale obbligo, se non ne è legittimamente impedito; in tal caso vi soddisfi tramite il coadiutore, se lo ha, o l’ausiliare, oppure tramite un sacerdote idoneo del suo presbiterio, che risieda nella sua diocesi.
La
Visita ad Limina risponde ad un’antichissima consuetudine. Sappiamo, per es., che a S. Policarpo discepolo di S. Giovanni, l’Apostolo, venuto a Roma per problemi relativi alla celebrazione della Pasqua, il Papa diede grandi attestati di venerazione di stima e affetto e, cosa notevole, gli cedette la presidenza nella celebrazione dell’Eucaristia.

3.
Come si è svolta la Visita
Essa è stata preceduta dalla consegna di una relazione sulla vita della diocesi negli ultimi cinque anni. Tale relazione è predisposta seguendo una traccia che la Santa Sede invia ad ogni vescovo con un anno d’anticipo, tiene presente la vita della Chiesa sotto l’aspetto della predicazione, della santificazione e della pastorale, è inviata in tante copie quante sono gli ambiti della Curia Romana in cui si esplica la collaborazione con il Santo Padre.
Giunto a Roma la sera di domenica 25 marzo, la mattina di giorno 26 ho iniziato la serie d’incontri con le Congregazioni ed i Pontifici Consigli. Quando il programma della Visita prevedeva due incontri in contemporanea, i vescovi ci dividevamo assicurando però che il Vescovo delegato dalla Conferenza Episcopale Siciliana per un settore fosse presente nella visita alla Congregazione o al Pontificio Consiglio corrispondenti. Così a me è toccato presentare la relazione al Pontificio Consiglio per i laici, per i quali sono Delegato della CESi per il quinquennio in corso.
Gli incontri dei singoli vescovi col Santo Padre si sono svolti dal lunedì, 26 marzo, a sabato, 31 marzo. Io sono stato ammesso in udienza venerdì, 30 marzo.
Il Santo Padre è stato accogliente, mite, interessato, in ascolto. Accettando la mia indicazione sull’atlante già predisposto sulla sua scrivania, si è reso conto della collocazione geografica della nostra diocesi. Mi ha chiesto delle famiglie, dei sacerdoti e del seminario, del lavoro. Mi ha amabilmente detto che nel seminario della diocesi in cui fu vescovo lavorava come cuoco un siciliano ‘forse di Palermo’, ha aggiunto, che si riprometteva di tornare in Sicilia appena raggiunta l’età della pensione, per avviare un’attività di ristoratore con cucina bavarese. Gli ho detto che la Diocesi di Patti mi ha insegnato a volere bene al Papa. A conforto di questa affermazione gli ho riferito che in molte famiglie è tenuta, bene in evidenza, la foto recante la benedizione ricevuta lo scorso anno per la nostra Bibbia e gli ho detto che proprio mentre ero lì, in udienza, in alcune parrocchie dei battezzati ci seguivano raccolti in adorazione. E gli ho detto che la Diocesi mi insegna, altresì, a volere bene a lei stessa, alla Diocesi. A conforto di questa seconda affermazione gli ho riferito quanto è consolante l’incontro con le diverse categorie di persone durante la Visita Pastorale attualmente in svolgimento. Gli ho pure detto di un incontro, nel contesto della Visita Pastorale, nel quale una persona, dalla quale mai me lo sarei aspettato, ha detto che era molto contenta di accogliermi, perché mentre “il parroco lo vediamo sempre, il Vescovo … materializza la Chiesa”.
Il Santo Padre non ha mancato di esprimere la sua compiacenza per questa “vera definizione del vescovo”.
Al Santo Padre non potevo non parlare del Piano Pastorale che pone in cammino catecumenale unitario e organico la nostra Diocesi ed egli, dopo avere attentamente ascoltato, ha avuto parole di apprezzamento, incoraggiamento e benedizione per quanti, in un modo o nell’altro, collaborano e partecipano a tutte le attività pastorali.
Sapevo bene che la
Visita ad Limina Apostolorum, mentre suppone la comunione col Papa, la favorisce e produce. Lo sapevo e lo avevo esperimentato già nelle due precedenti visite da me compiute durante il pontificato di Giovanni Paolo II.
L’ho esperimento ancora adesso e sono lieto di comunicare la mia esperienza perché, davvero, dove è Pietro lì è la Chiesa.


4.
Il secondo. Il 22 febbraio 2007, festa della Cattedra di S. Pietro, il Santo Padre ha consegnato alla Chiesa l’Esortazione Apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis. Del documento, che Benedetto XVI stesso lega all’Anno Giubilare del 2000 e al Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia, svoltosi a Roma nell’autunno del 2005 e che si compone di tre parti precedute e seguite da brevi introduzione e conclusione, ho il piacere di farvi dono e ora, qui, di proporvene una veloce sintesi.
Come ogni sintesi, questa trascura molti elementi, prende valore  sullo sfondo dell’intero documento e va subito al pratico.
a)
L’Eucaristia al centro. Il Papa insiste sul fatto che tutta la famiglia cristiana deve partecipare all’itinerario dell’iniziazione cristiana.
b)
Un limite alle assoluzioni generali. Il Papa chiede a tutti i sacerdoti di dedicarsi con generosità, impegno e competenza alle confessioni e che nelle chiese i confessionali siano ben visibili.
Di più, chiede ai vescovi di vigilare sulla celebrazione del sacramento, limitando la prassi dell’assoluzione generale ai casi previsti.
I sacerdoti devono mettere in primo piano non «loro stessi e le loro opinioni, ma Gesù Cristo». Il sacerdote è «servo» dell’altare. Il Papa raccomanda anche ai sacerdoti la «celebrazione quotidiana» della Messa, anche se non ci fosse partecipazione dei fedeli.
c) La "Messa bella". La bellezza non è fattore decorativo dell’azione liturgica, e le norme liturgiche vanno applicate nella loro completezza. Il Papa è contrario alla creatività liturgica perché la semplicità dei gesti e la sobrietà dei segni, posti nell’ordine e nei tempi previsti, comunicano e coinvolgono più che l’artificiosità di aggiunte inopportune.
d) Proclamazione della Parola. Occorrono lettori ben preparati. Il Papa raccomanda vivamente grande attenzione alla proclamazione della Parola di Dio e chiede di promuovere tra i fedeli la preghiera della Liturgia delle Ore da lasciare distinte dalla Messa.
e) La predica. Accuratamente preparata e basata sulla Sacra Scrittura da mettere in relazione con la vita della comunità, non deve essere generica o astratta. È opportuno che i sacerdoti parlino anche dei grandi temi della fede cristiana.
f)
Fedeli, non muti spettatori. Il Concilio impegna i fedeli a partecipare alla Messa e non a stare davanti all’altare come spettatori estranei e muti. È bene raggiungere la chiesa prima della Messa per un momento di silenzio e di preghiera.
g)
Scambio della pace. È bene limitarlo ai vicini perché a volte può assumere espressioni eccessive. La sobrietà nulla toglie al valore del gesto.
h) Dopo la Comunione. È utile rimanere raccolti per un prezioso tempo di silenzio. Accostarsi alla Comunione non deve però essere un «automatismo», quasi che «per il solo fatto di trovarsi in chiesa durante la liturgia si abbia il diritto o forse anche il dovere» di fare la Comunione. Per i disabili, bisogna favorire la partecipazione alla Messa, rimuovendo gli ostacoli architettonici nelle chiese. Va assicurata anche la comunione ai disabili mentali.
i) Lingua latina e canto gregoriano. In sintonia col Concilio Vaticano II, la lingua latina va usata, solo per il canone, nelle celebrazioni di carattere internazionale. In tali liturgie è bene anche proporre il più universale canto gregoriano. La messa trasmessa per televisione va bene per anziani e malati ma, in condizioni normali, non dispensa dall’andare in chiesa. I piccoli gruppi devono servire a «unificare la comunità, non a frammentarla».
l) Adorazione eucaristica. Va favorita sia dal punto di vista personale che comunitario. La lampada perenne faciliti l’individuazione del tabernacolo dove è conservata l’Eucaristia.
m) La Domenica. Il giorno del Signore è anche il giorno del riposo. Benedetto XVI si augura che ciò sia riconosciuto anche nella società civile e rileva che il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro. Accanto alla Messa si promuovano incontri, catechesi e attività caritative.
n) I divorziati risposati. Il Papa ricorda che i divorziati risposati appartengono alla Chiesa che li segue con speciale attenzione, col desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile cristiano, anche con la partecipazione alla Messa senza Comunione.
o) Il matrimonio. Matrimonio e famiglia sono istituzioni che devono essere promosse e difese da ogni possibile equivoco sulla loro verità, perché ogni danno arrecato a loro è, di fatto, una ferita arrecata alla convivenza umana.
p) Celibato dei sacerdoti. Non ha solo una motivazione funzionale. Rappresenta lo stile di vita di Cristo «che ha vissuto la sua missione fino al sacrificio della croce nello stato di verginità».
q)
Coerenza per chi fa la comunione. Il culto non è mai atto privato, avendo sempre conseguenze sociali.
Esso richiede la pubblica testimonianza di alcuni valori, tra cui la difesa della vita, della famiglia e del bene comune delle persone, che sono «valori non negoziabili». Soprattutto i politici cattolici devono sentirsi «particolarmente interpellati dalla loro coscienza rettamente formata a presentare e a sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana.

r)
Impegno per la giustizia. Il Papa sottolinea la relazione che vige tra mistero eucaristico e impegno sociale: la Chiesa non può e non deve restare ai margini della lotta per la giustizia. Il Papa pone davanti ai cristiani le loro responsabilità: Non possiamo rimanere inattivi di fronte a certi processi di globalizzazione che non di rado fanno crescere lo scarto tra ricchi e poveri. Dobbiamo denunciare chi dilapida le ricchezze della Terra, provocando diseguaglianze che gridano verso il cielo. L’Eucaristia «spinge» ad impegno coraggioso nel mondo. Il Padre nostro «obbliga» a «fare tutto il possibile, in collaborazione con le istituzioni internazionali, statali, private perché cessi o, al meno diminuisca, lo scandalo della fame».
s) La dottrina sociale. Si caratterizza per realismo ed equilibrio. Va bene studiata come educazione alla carità e alla giustizia.Essa è impregnata di elementi che orientano il comportamento dei credenti nelle questioni più scottanti e serve per evitare compromessi e utopie.
Con la speranza di essere stato utile, rinnovando l’augurio pasquale, tutti saluto e benedico.

 

... ma per servire

Lettera ai Presbiteri del 18 Maggio 2007

Carissimi, ben sapete che, qualche giorno addietro (il 12 maggio), una folta rappresentanza dei battezzati, che nelle nostre parrocchie svolgono il compito di ministri della Comunione, hanno celebrato con me il Giubileo che il Santo Padre ha concesso alla nostra diocesi nella ricorrenza cinque volte centenaria della presenza a Ficarra della bell’opera di Gagini raffigurante l’Annunziata.
Ritengo di una qualche utilità farvi conoscere la riflessione che, in quell’occasione, ho messo a disposizione dei presenti per orientarne preghiera ed impegni. 

1.   Connotazioni della nostra assemblea
a)   Gratitudine. Mi fu rivolta questa parola del Signore: ‘Che cosa vedi, Geremia?’. Risposi: ‘Vedo un ramo di mandorlo’. Il Signore soggiunse: ‘Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per realizzarla’ (Ger 1,11-12). A parte il gioco di parole (tra vigilo e mandorlo in ebraico c’è assonanza), il mandorlo, primo albero a fiorire, rompe la stagione invernale e, contro ogni apparenza, anticipa la primavera.
Il mandorlo è segno di Dio che avvolge grettezza e peccato nostri con il fiore dell’amore gratuito - questa la parola sulla quale vigila -; egli, mentre tutto sembra dire che non c’è nulla da fare ché tanto tutto è rigore e morte, ci ripropone l’alleanza sponsale.
Il mandorlo è allusione bella alla speranza con cui il battezzato, sulla parola del Maestro, non si lascia bloccare dai profeti della rassegnazione; getta le reti daccapo, anticipa la primavera; avendo raccolto dove altri ha seminato, semina, a sua volta, dove altri raccoglierà; non si lascia irretire nel freddo circostante perché più forte della morte è l’amore; poiché Cristo è risorto, in forza e in vista della risurrezione, tutto osa, tutto spera, tutto vince, mai si stanca.
b)   Il Giubileo della SS. Madre del Signore, dono del Santo Padre alla comunità di Ficarra, per tutta la diocesi. Celebrando il Giubileo, portiamo alla Gran Signura Maria la situazione della nostra Chiesa, il suo cammino pastorale e, in esso, il nostro impegno.
c)   I ministeri. Sono doni coi quali il Padre, per mezzo di Gesù, nello Spirito Santo, arricchisce tanti fratelli e sorelle, per l’utilità della nostra chiesa. È bene ricordare che nessuno è privo di doni, che ogni dono viene dall’Alto, che Dio dà i doni sempre per l’utilità comune.
 

2.   Preghiamo
Padre, fa’ che viviamo con rinnovato impegno questi giorni di letizia in onore del Cristo risorto, per testimoniare nelle opere il memoriale della Pasqua che celebriamo nella fede.
 

3.   In ascolto, in comunione con tutta la Chiesa, della Parola della domenica (Dom. VI di Pasqua).
a)   La Chiesa che prende coscienza del dono della libertà che scaturisce da Cristo morto per i nostri peccati e risorto per la nostra salvezza e sceglie, non senza difficoltà, di accettarla, questa libertà, proclamarla, difenderla (cfr At 15,1-20).
I rischi impliciti nella libertà sono da accettare consapevolmente, grati ed impegnati; il tutto è detto mirabilmente da S. Paolo: “Voi, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne ma, mediante la carità, siate a servizio gli uni degli altri” (Gal 5,13).
_
Il dono della libertà vivificata dall’amore che porta a servire è, mentre siamo sulla terra, finché, in Paradiso, Cristo sarà tutto in tutti, anticipo di quello che sarà la vita con Dio, dopo la risurrezione, nel mondo che verrà, secondo la professione di fede che facciamo oggi, come ogni domenica.
b)   È a proposito del servizio che il Signore dà il suo esempio e le sue indicazioni.

[
  Gesù dichiara di essere venuto per servire e non per essere servito. Il suo servizio è norma per ogni discepolo. Gesù: vede, vede col cuore; prova compassione si compromette, rischia, si fa vicino, prossimo; fascia le ferite; porta alla locanda, non fa da sé; moltiplica i pani; insegna, insegna come nessun altro, con autorevolezza; sa di essere venuto per radunare i figli di Dio che sono dispersi che è come dire sa che, per quante belle opere faccia, se genera figli a Dio non è come vuole il Padre.
[
  Senza la contemplazione, lo zelo volge al litigio, al prestigio, alla pretesa d’essere serviti. Egli dichiara, perciò, ‘senza di me niente potete fare’. Il servizio prima che missione è comunione e, prima d’essere azione, è contemplazione.

4.   La nostra risposta, la nostra riflessione e la nostra preghiera.

a)   Chiediamo perdono, ringraziamo, sviluppiamo santi desideri; io chiedo perdono.

"
  Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto; perché si conosca sulla terra la tua via, fra tutte le genti, la tua salvezza. Esultino le genti e si rallegrino, perché governi le nazioni sulla terra. Tutti i popoli lodino Dio. Ci benedica Dio, e lo temano tutti i confini della terra (Cfr Sal 66).
b)   Se il Signore affida un servizio, lo dona per la comunità e non lascia soli.

"
  È insegnamento di Gesù che dice: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole. (…) Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore (Cfr Gv 14,23-29).
"
È principio proclamato e vissuto dai santi: S. Bernardino da Siena lo applica a S. Giuseppe che, dovendo assistere il Figlio di Dio divenuto uomo, ne ha, argomenta il Santo, la forza dall’Alto. La S. Vergine ricevuta l’annunzio grande e unico, va a servire la cugina Elisabetta.
"
La Chiesa nostra pattese ha bisogno di tutti; nessuno è così povero… e nessuno così ricco… La Chiesa di Patti ha bisogno di tutti noi battezzati.
     Signore, nei genitori, negli educatori, in chi a qualsiasi titolo s’impegna nella politica e nell’amministrazione e in qualsiasi professione, spargi abbondante la gioia per quanto ha già fatto e fa; dona entusiasmo per fare sempre meglio e la consolazione che viene dalla tua grazia, la gioia che viene più dal dare che dal ricevere.


5.   Alcuni punti di domanda

a)   Chi sono i destinatari del servizio, oggi?
Abbiamo ascoltato ciò che, sulla libertà, il Signore c’insegna per mezzo dell’Apostolo. Questi partiva da una questione pratica: quelli che si convertivano a Gesù, provenendo dal paganesimo, dovevano, prima di ricevere il Battesimo, sottoporsi ai riti previsti dall’Ebraismo? La risposta dell’Apostolo è ‘no!’ netto e senza diplomazia.
Gesù con la sua morte e risurrezione ci ha reso liberi. È lui il Salvatore; in lui non c’è né giudeo né greco; egli ha abbattuto i muri divisori tra gli uomini e Dio e quelli che gli uomini erigiamo tra noi.
Il problema era nato perché tra ‘quelli che erano stati dispersi dopo la persecuzione scoppiata al tempo di Stefano, alcuni, di Cipro e di Cirène, cominciarono a parlare anche ai Greci, predicando la buona novella del Signore Gesù. E la mano del Signore era con loro e così un gran numero credette e si convertì al Signore’ (cfr At 11,19-21).
La persecuzione costringe i primi discepoli ad andare ‘fuori’, ‘lontano’ dal previsto, dal consueto: dal male – la persecuzione – viene un bene – la predicazione del Vangelo a tutti i popoli.
Mi chiedo: chi sono i greci che oggi rischiano di rimanere senza la parola che salva? Chi sono i greci ai quali oggi è doveroso portare il Vangelo? Chi i lontani, amiamo definirli, che oggi l’abitudine ci porta a non vedere?
b)   La prima risposta è: gli ammalati ai quali portare la santa Eucaristia; i bambini che si preparano per sacramenti. E poi è doveroso dare una mano per il decoro dei sacri edifici e perché la liturgia sia degna, attenta e devota.
Risposte degne e belle. E sa il Signore quanto io senta forte la gratitudine per voi, sorelle e fratelli, che in queste attività vi impegnate da anni. Ed è questa gratitudine che mi spinge a tenervi presenti nella mia quotidiana preghiera, a benedirvi, ad augurarvi gioia e consolazioni grandi e numerose.
c)   Siamo, però, chiamati ad andare oltre, ad aprire il cuore, ad osare. Se nessuno è fuori del cuore di Dio, nessuno può da noi essere dimenticato. In concreto:

[
  La nostra diocesi è fatta di 53.000 famiglie; noi ne raggiungiamo, in qualche modo (ad es. con la lettera mensile), 35.000. E le altre?
[
  Gli uomini: diciamo tutti che nelle piccole comunità mancano; che facciamo? Non sono essi i nostri genitori, figli, sposi, fratelli?
[
I giovani: vedi sopra. E di più. Diamo per buono che la popolazione pattese, dai 18 ai 30 anni, ammonti a 30.000 unità. Noi ne raggiungiamo… 8.000.
[
I bambini, celebrata la messa di Prima Comunione, scompaiono e noi?
[
Gli operai. Dire che ormai non ci sono, ad esempio, artigiani tanto è tanto consolatorio quanto falso.
[
Il Santo Padre nella esortazione apostolica ‘Sacramentum Charitatis’ divide la sua trattazione in tre punti: l’Eucaristia da credere, da celebrare, da vivere….
[
Niente di nuovo, per carità; e noi ?

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