LA CATECHESI DEL VESCOVO

 

Vita cristiana, fede in azione

Lettera ai Presbiteri del 25 Febbraio 2004

Carissimi,

1.
la
Quaresima dell’anno di grazia 2004 è già iniziata e ognuno, docile alla sua guida spirituale, ha non solo predisposto il tono da dare quest’anno al suo cammino quaresimale, ma è già avanti in esso. Ciò non vanifica la veloce proposta di riflessione con la quale si apre, come sempre, il nostro Notiziario Pastorale pensato realizzato e distribuito fedelmente, mese dopo mese, come strumento di comunicazione immediata e che prende l’abbrivo dalla Parola, dalla Liturgia e dalla tradizione ascetica.

a)  La Parola di Dio

«Guardate a lui e sarete raggianti; Venite, figli, ascoltatemi; v’insegnerò il timore del Signore; la malizia uccide l’empio» (Sl 33,9.12.22). Testo biblico suscettibile d’approfondimenti vari e preziosi e, insieme, leggibile immediatamente.
*   Guardare al Signore Creatore e Padre illumina e riscalda, è fonte di saggezza e di fiducia perché se il Signore è con noi chi sarà contro di noi e poi egli «osserva l’oppressione di cui è vittima il suo popolo, ode il suo grido, conosce, scende, fa uscire, libera» (cfr Es 3,7); «alle spalle e di fronte mi circonda e pone su di me la sua mano» (Sl 138, 5).
*   Egli è maestro del santo timore cosa ben diversa della paura e che, alla fine, è un altro nome dell’amore.
*   La malizia, il peccato non è tale perché Dio, capriccioso, così ha stabilito, ma perché fa male, uccide chi se ne rende responsabile.
*   «Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ne ha le opere? Forse quella fede può salvarlo? Tu credi che c’è un Dio solo? fai bene; anche i demòni credono e tremano!» (Gc 2,14.19)

b)
  La Liturgia
*   La seconda strofa di un inno predisposto per la preghiera della sesta così canta: «Cuius luce clarissima / tenebricat meridies; / sumamus toto pectore / tanti splendoris gratiam».
Il riferimento è all’ora sesta nella quale «mentre le tenebre avvolgevano il mondo, il Signore fu inchiodato sulla croce». Ora tenebrosa, perché oscura è la croce e Gesù stesso così la esperimenta se urla la sua sensazione di essere abbandonato. La croce, però, pur oscura, fa impallidire il chiarore del sole giunto all’apice del suo cammino.
*   La colletta della messa votiva per la chiesa: Signore, il popolo da te adunato ti tema, ti ami, ti segua, perché, avendo te come guida, consegua la promessa partecipazione alla mensa della tua gioia. Molto efficace questa scansione: timore, amore, sequela, premio eterno.

c)  La Tradizione ascetica

*   Qui se diligit, Deum amare non potest (Diadoco di Fotice).
*   «Dio Signore, che tutte le mie intenzioni, attività esterne e operazioni interiori tendano unicamente al servizio e alla lode della tua divina Maestà» (S. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, n. 46).


2.
  Nei testi biblici e liturgici appena letti c’è, costante, la preoccupazione di rilevare che le precisazioni più puntuali, le contemplazioni più ardite, sono monche se non pervengono al fare; ché il fare non è altra cosa rispetto alla spiritualità, alla fede al punto che questa, sembra dire S. Giacomo, se priva d’approdo al fare, non salva e, anzi, di essa pure  i demòni possono vantare  il possesso.

3.
  Nei due testi ascetici, poi, il medesimo insegnamento è espresso in modo diretto: amarsi rende impossibile amare Dio, perché amare Dio è servirlo; e amare Dio è amare e servire il prossimo; e amare e servire non è parlare d’amore e di servizio ma agire con lealtà, mitezza, benevolenza, affabilità, disponibilità. Come, peraltro, a titolo di esempio, civiltà non è maledire gli incivili e descrivere ed elogiare i vantaggi della civiltà.
Civiltà è agire da persona civile nel rispetto dei diritti degli altri, tacendo o parlando secondo che le concrete situazioni esigono, adempiendo fedelmente i doveri di cittadino, operando scelte civiche consapevoli, facendo la fila in un ufficio, custodendo e rispettando i  beni della comunità, aborrendo prepotenza e furbizie.
Così non è spiritualità parlare di spiritualità ma fare scelte che vadano d’accordo con le indicazioni dello Spirito. E queste niente hanno di vago e fumoso. Infatti: «frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22).
Può riuscire utile leggere la stessa indicazione in negativo: «le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezza, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio» (ivi 19).
E non serve a niente presumere di avere diretto intenzioni e operazioni intellettuali e affettive al servizio e alla lode di Dio se vanno in altra direzione, per i fatti propri, seguendo altre dinamiche, le attività esterne e controllabili operazioni.
Paolo incalza: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi, rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12, 1), che è come se dicesse: “badate, badate bene che, da discepoli di Gesù, siete chiamati a costruire, per la vostra parte, modelli di comportamento alternativi a quelli di cui va fiero il mondo”.
Mons. Angelo Ficarra incalzava, sbrigativo ed essenziale, una persona che lo intratteneva epistolarmente sui suoi pretesi impegni ascetici e mistici: ma lei visita gli ammalati? Si mette a disposizione per la scuola parrocchiale di catechesi? Fa opere di  carità? Assiste i suoi genitori? È fedele ai doveri domestici?


4.
  Sono consapevole e lodo il Signore perché nella nostra chiesa diocesana sono numerosi gli operatori pastorali, laici, religiosi e sacerdoti  che si sentono vibrare l’animo di santi desideri leggendo Isaia: «per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi darò pace, finché non sorga come stella la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada» (Is 62,1), correttamente sovrapponendo Sion e  Gerusalemme ai nomi delle nostre contrade.
Non serve però tale ardore. Esso di apostolico ha solo la forma finché non si compiono azioni piccole, magari, ma concrete come quelle che la nostra chiesa si è date con il suo Piano Pastorale, frutto d’analisi, scelte e decisioni comunitarie, che accetta la legge dell’incarnazione e si sottopone a mete, traguardi, verifiche e, soprattutto, al passo dei più piccoli. Non serve lamentare l’eclissi degli adolescenti dopo la Cresima, la ‘lontananza’ della maggior parte dei battezzati, il dramma della solitudine degli anziani, la tragedia della mancanza di senso della vita, l’ignoranza religiosa dei più, l’aumento di famiglie di battezzati irregolari se non si accetta di porre in cantiere i piccoli gesti che creino rapporti che sfocino nell’accettazione del dono divino della comunione per la quale Dio ci ha pensato, creato, redento, mandato il Divino Spirito, fatto membra del corpo santo della Chiesa.


5.
  Pongo tra queste piccole azioni la Settimana della Fraternità, preparata così a lungo, con l’animo pieno di santi desideri. Essa non pretende di essere una bacchetta magica. Vuole fare esperimentare la gioia di sapersi famiglia di Dio, chiesa, per la fede e il Battesimo. Spera di suscitare il desiderio di incontrarsi ancora e, con la nascita dei piccoli gruppi, che si verifichino le condizioni che consentano che si parli di Dio e si realizzi la previsione d’Isaia: «mi feci ricercare da chi non mi interrogava, mi feci trovare da chi non mi cercava. Dissi: Eccomi, a gente che non invocava il mio nome» (Is 65,1).

6.
  Sono sicuro che nessuno di noi esiterebbe affermazioni come queste: ‘Dio tre volte Santo va adorato con fatti di vita’, ‘l’Eucaristia dev’essere centro della vita’, ‘non è possibile che si formi una comunità cristiana se non assumendo come radice e, come cardine, la celebrazione della sacra Eucaristia, dalla quale deve quindi prendere le mosse qualsiasi educazione tendente a formare lo spirito di comunità.
A sua volta la Celebrazione Eucaristica, per essere piena e sincera, deve spingere sia alle diverse opere di carità e al reciproco aiuto, sia all'azione missionaria e alle varie forme di testimonianza cristiana (cfr. PO 7). I valori evangelici della mitezza, benevolenza, semplicità, affabilità devono improntare la vita, le beatitudini non sono per colorare di miniature codici medievali e stampe moderne, ma per la vita. Avere fede, negli stati di vita, laicale, religioso e sacerdotale, è impegno a seguire, con la vita, Cristo povero, casto, obbediente.
Perché le affermazioni non restino declamate, il cammino della nostra chiesa ci propone il modo; i santi e la Vergine, venerata anche nella nostra Tindari come Odigitria, ci indicano, appunto, la strada. La fedeltà che caratterizza la nostra chiesa mi assicura che siamo già in cammino.

 

La Risurrezione è l’evento fondamentale della nostra fede

Lettera ai Presbiteri del Giovedì Santo 2004

Carissimi Presbiteri,
il volgere del tempo, attraverso i quaranta giorni della scuola quaresimale, ci conduce al Sacro Triduo e alla Pasqua di Risurrezione.
La Risurrezione è l’evento fondamentale della nostra fede giustamente connotato, nella liturgia, con la massima solennità, nella tradizione popolare, con usi che investono dalla cucina, ai modi di dire, dal calendario al folklore.
Interessati a tutto quanto interessa l’uomo, siamo più attenti a quanto lo aiuta a divenire più prossimo al modello secondo il quale è stato mirabilmente creato e più mirabilmente ricreato.
In questa prospettiva, l’augurio più cordiale a tutti voi con la preghiera di estenderlo alle comunità al cui servizio siete deputati.
In questo mese penso di aggiungere agli auguri solo la presentazione del contenuto della busta che vi è consegnata. 
a)
  Lettera Pastorale «Per Lei passò tutto il popolo» che, quest’anno, ho scritto a rilevare il compiersi della fase kerigmatica (la sensibilizzazione ai valori precristiani e cristiani che, come prevede il RICA, deve precedere il catecumenato che sarà destinato con la presentazione ordinata di tutto il messaggio di Gesù, prima della preparazione alla celebrazione dei sacramenti) e la preparazione della Settimana di Fraternità del prossimo autunno.
Oso sperare che l’accoglierete benevolmente, la medierete ai nostri fratelli battezzati in vario modo attivi nella vita della Chiesa e vorrete gratificarmi delle vostre osservazioni delle quali vi sarò molto grato.
b)
  Testo «Accanto a voi» che ci è servito da base nell’incontro che la nostra Chiesa particolare ha organizzato per i battezzati impegnati in politica.
Con l’incontro abbiamo voluto aiutarci a superare la demagogia e il facile moralismo e a mettere le basi per creare spazi nei quali i nostri fratelli, amministratori e politici ai diversi livelli, possano arricchirsi spiritualmente per decidere negli ambiti loro propri, con consapevolezza e rigore.
Il testo, va da sé, riflette questa finalità e potrebbe avere utili echi nelle parrocchie.
Colgo l’occasione per invitarvi ancora a prendere parte al Colloquio di Mariologia dei giorni 16-18 del corrente mese d’aprile.
Non sto a ripetere temi, maestri e modalità di partecipazione ampiamente pubblicizzati. Dico solo che si tratta, per noi, d’occasione unica da non perdere, pure facendo qualche sacrificio.
c)
  La Lettera del Santo Padre ai Sacerdoti per il Giovedì Santo, come sempre, breve, efficace, incardinata com’è nella sua esperienza pastorale e ascetica.
Per gli altri appuntamenti del mese di maggio rimando alle altre pagine del Notiziario Pastorale e frattanto vi saluto e benedico.

 

Vogliamo vedere Gesù

Lettera ai Presbiteri del 14 Maggio 2004

Carissimi,
maggio nella pietà popolare è il mese dedicato alla riflessione orante con Maria Madre di Gesù.

1.
   Poche le parole della Madonna per noi registrate nel Vangelo. Poche non è come dire di poco conto e pensiamo al Magnificat.

Esso è il canto di coloro che:
a)   Vivono religiosamente la loro condizione umana, si riconoscono clienti del Signore e vivono il loro riferimento a Dio nella povertà interiore, nella fiducia, nell’umiltà, distaccati da ciò che non è il Signore.
b)   Riconoscono che il Signore ha una via, una direzione secondo cui cammina, una sapienza, una saggezza, conosce la realtà e ciò che realmente vale, sa essere pastore del suo popolo.
Di tale saggezza conosciamo le coordinate: stende il suo braccio, rovescia i superbi, esalta gli umili, ricolma di beni gli affamati, rimanda i ricchi a mani vuote.
c)   Imparano ad essere contenti del Signore: lo cantano, individuano il bene nello stare presso di lui, lo eleggono come riferimento unico e definitivo, prima che fare contento il Signore sono di lui contenti.

2.   
Il mese di maggio, poi, coincidendo con il periodo pasquale, vuole la Chiesa impegnata nell’attività mistagogica.

Essa consiste nell’impegno per introdurre sempre meglio i battezzati nel mistero di Cristo morto, risorto, asceso al cielo, che invia il suo Spirito ad animare la Chiesa perché vada, annunzi, animi la speranza, non si perda nella retorica della comunità ma la costruisca sulla base della fede comune, del superamento degli egoismi, della fiducia che Gesù, nuovo Adamo, abbatte dentro di noi le barriere.

3.
   Conosciamo bene la parola Vogliamo vedere Gesù come parola che esprime la freschezza di quei giovani greci (il Vangelo non lo dice ma non potevano che essere dei giovani) che si avvicinano a Filippo perché medi l’incontro con Gesù.

Anche noi siamo mossi da questo desiderio.
Vedere Gesù: e che altro sarà il Paradiso?
Vedere Gesù: e da che altro può essere mossa la nostra vita di donati al Signore?
Vedere Gesù: nient’altro può giustificare impegno, rinunzie, fatiche, speranza, gioia.
Vedere Gesù!
     Jesu, quem velatum nunc aspicio,

    
oro fiat illud quod tam sitio,
     ut te revelata cernens facie,
     visu sim beatus tuae gloriae.

Parole che ci sono ben note per avere espresso tante volte la nostra fede e la nostra preghiera. Esse girano attorno al ‘vedere - non vedere’ Gesù qui, durante il pellegrinaggio terreno, nell’attesa della beatitudine legata alla vista di lui senza veli.
Vedere quello che Dio ci rivela è legato all’udire.

Udire
che non è solo essere informati ma anche capire la parola del Signore, piegare l’orecchio, persuadersi, accettare, lasciarsi prendere.

Sì, udire fa vedere, sottomette il cuore; fa crescere nella fiducia perché Dio ha pensato prima, ha amato prima, e la fedeltà a Lui è radicata nella fedeltà di  Lui.
Mosè dovette velarsi il volto per salire a Dio.
Gesù è il volto di Dio svelato e, insieme, promesso perché durante questa vita non ci è dato di uscire dalla tensione tra la fede che vorrebbe vedere il volto di Dio ma accetta, nell’obbedienza, che egli si sveli e il desiderio che il velo sia tolto. Resta, frattanto, l’udito per il quale, non vedo, non tocco, non gusto ma odo e così vedo oltre il volto come il ladro crocifisso accanto, lì sul Calvario, con la schiera dei beati perché credono senza vedere.
E l’udito si fa devozione e dunque cuore che per amore si sottomette.

4.
   Vogliamo vedere Gesù!
A coloro che avendo seguito il cammino catecumenale nella Veglia Pasquale avevano ricevuto il Battesimo, S. Agostino diceva:
«Rivolgo la mia parola a voi, bambini appena nati, fanciulli in Cristo, nuova prole della Chiesa, grazia del Padre, fecondità della Madre, pio germoglio, sciame novello, fiore del nostro onore e frutto della nostra fatica, mio gaudio e mia corona, a voi che siete saldi nel Signore» (Discorso  8 nell’ottava di Pasqua 1,4).

Non ci vuole abilità particolare per sentire e gustare la gioiosa soddisfazione di cui trasudano le parole del santo vescovo che emozionano vivacemente dopo 1500 anni.
Gioia e soddisfazione del santo sono al culmine del cammino catecumenale o catechesi che è fatto della esposizione completa e ordinata di tutto quanto riguarda Gesù, della preparazione alla celebrazione dei sacramenti che coincide, di solito, con la quaresima e dell’approfondimento proposto per il tempo pasquale.
Tutto, assolutamente tutto però, nasce dal desiderio.
Senza desiderio siamo alla morte.

5.
   Il desiderio deve essere oggetto del nostro… desiderio e del nostro impegno pastorale. La mia affermazione si pone in ordine al Piano Pastorale che la nostra Chiesa si è dato e che ha come scopo il cammino catecumenale proposto alle persone già battezzate delle nostre contrade, non singolarmente ma come popolo.

Il desiderio.
Trenta monaci e il loro abate non possono fare ragliare un asino contro la sua volontà, scrive Cervantes, e non si può che riconoscere la validità della sua affermazione. La posta in gioco qui, però, è ben più alta e seria.
O se le nostre comunità potessero esplodere di desiderio:
«A te grido, Signore; non restare in silenzio, mio Dio, perché, se tu non mi parli, io sono come chi scende nella fossa. Ascolta la voce della mia supplica, quando ti grido aiuto, quando alzo le mie mani verso il tuo santo tempio» (Sl 28, 1-2).
«T'invoco con tutto il cuore, Signore, rispondimi; custodirò i tuoi precetti. Io ti chiamo, salvami, spero sulla tua parola. Ascolta la mia voce, secondo la tua grazia; ma tu, Signore, sei vicino, tutti i tuoi precetti sono veri» (Cfr Sl 119.145-152).
6.
   Come fare? Come fare, intendo, perché le nostre comunità ardano del desiderio di vedere il Signore?
a)   Ascoltiamo:
«Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via. Gli disse Tommaso: ‘Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?’. Gli disse Gesù: ‘Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me’» (Gv 14,1-6).
b)   Proponiamo:
«Tutti parlino del Signore e diano lode a Lui in Gerusalemme» (Tb 13,10).

c)   Agiamo: tutte le iniziative che la nostra chiesa va proponendo (proprio tutte, dalla collocazione di un cartellone con lo slogan, alla Settimana della Fraternità) non hanno altro fine che accendere e colmare il desiderio di vedere il Signore.

d)   Ascolto, impegno, azione vengano e portino alla preghiera perché
«Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori. Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode. Invano vi alzate di buon mattino, tardi andate a riposare e mangiate pane di sudore: il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno» (Sl 127,1-2).

 

Lava spenta

Lettera ai Presbiteri dell'11 Giugno 2004


Carissimi,
1.  la strada che, attraversando la costa ionica, conduce all’aerostazione di Catania, taglia veloce e a perdita di occhio, da Acireale verso sud, una superficie scoscesa e disseminata di massi neri come depositati da una gigantesca tempesta o lanciati con rabbia violenta e incontenibile da misteriosi discendenti dell’omerico Polifemo.
Qua e là ciuffi di ginestra indorata annunziano la lenta vittoria della vita.
Per contrasto, evocati dalle colate d’eruzioni recenti della montagna, vengono alla memoria fiumi irresistibili di fuoco appena emersi dalle antiche viscere della terra.
Dinanzi alla potenza della massa infuocata non c’è resistenza che tenga. Case, alberi, impianti di qualsiasi genere vanno in cenere senza lasciare traccia, mentre cambia il profilo orografico e la stessa fisionomia della terra.
Durante l’eruzione della seconda metà degli anni ottanta, per difendere (?) in qualche modo i manufatti dalla potenza del fuoco, la protezione civile inviava sul posto delle maestranze con scavatori così grandi che… quando la lava, nel suo inesorabile cammino, si avvicinava troppo, facevano rispettosamente marcia indietro paventando che metallo, gomma, carburante, a  contatto  ravvicinato  con gli oltre 1500 gradi della lava, si afflosciassero come, ad agosto, la torta gelato fuori frizer. Guardando quella massa inerte e nera di lava spenta, non si può fare a meno di pensare alla forza apocalittica che l’ha cavato da misteriose profondità. Il fiume enorme ed incandescente non è più; giace tramutato, nero, squallido, pesante e goffo.
2.  «
Quando fu l'ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: "Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio". E preso un calice, rese grazie e disse: "Prendetelo e distribuitelo tra voi, poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio". Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: "Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi". "Ma ecco, la mano di chi mi tradisce è con me, sulla tavola. Il Figlio dell'uomo se ne va, secondo quanto è stabilito; ma guai a quell'uomo dal quale è tradito!". Allora essi cominciarono a domandarsi a vicenda chi di essi avrebbe fatto ciò. Sorse anche una discussione, chi di loro poteva esser considerato il più grande» (Lc 22,14-24).
3.  Le parole di Luca, ci sono ben note, parlano del dono divino dell’Eucaristia. È utile richiamare alla memoria che cosa è l’Eucaristia.
Nella mente della Chiesa.
«Il Concilio si propone di far crescere ogni giorno più la vita cristiana tra i fedeli; e (…) la liturgia, mediante la quale, specialmente nel divino sacrificio dell'eucaristia, “si attua l'opera della nostra redenzione”, contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa.
«Questa ha infatti la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, fervente nell'azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina; tutto questo in modo tale, però, che ciò che in essa è umano sia ordinato e subordinato al divino, il visibile all'invisibile, l'azione alla contemplazione, la realtà presente alla città futura, verso la quale siamo incamminati. 
«In tal modo la liturgia, mentre ogni giorno edifica quelli che sono nella Chiesa per farne un tempio santo nel Signore, un'abitazione di Dio nello Spirito, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo, nello stesso tempo e in modo mirabile fortifica le loro energie perché possano predicare Cristo. Così a coloro che sono fuori essa mostra la Chiesa, come vessillo innalzato di fronte alle nazioni, sotto il quale i figli di Dio dispersi possano raccogliersi , finché ci sia un solo ovile e un solo pastore» (SC 2).
Nella mente di Gesù.
«Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.
«Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: "Signore, tu lavi i piedi a me?". Rispose Gesù: "Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo". Gli disse Simon Pietro: "Non mi laverai mai i piedi!". Gli rispose Gesù: "Se non ti laverò, non avrai parte con me". Gli disse Simon Pietro: "Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!". Soggiunse Gesù: "Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti". Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: "Non tutti siete mondi". 
«Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: "Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi» (Gv 13, 1-15).
4.
  Cosa vuol dire: dovete lavarvi i piedi l’un l’altro?
a)  In senso proprio e immediato questo passo viene interpretato quando, la sera del Giovedì Santo, il vescovo  lava i piedi ad alcuni fedeli. È decisamente facile lavare i piedi di chi poco prima se li è lavati e profumati. È gesto simbolico ma troppo a buon prezzo.
b)  C’è un senso più ampio e costoso. Lavare i piedi, in senso traslato sta ad indicare ogni servizio umile, disagiato. Servizio della mano (servizi manuali vari secondo le esigenze), del cuore (accogliere, riconoscere, stimare, apprezzare), della bocca (con le parole di consolazione, di conforto e sostegno), del perdono. 
Non ci vuole molto a vedere che un metro cubo d’acqua impiegata a lavare materialmente i piedi, per quanto interessante e difficile, non può valere quanto una goccia di cordiale perdono e una purificazione del cuore autentica pur se iniziale.
c)  Più oltre, lavare i piedi è amare sino alla fine. Nessuno di noi è capace d’amare sino alla fine. 
Gesù, egli solo, ama sino alla fine scendendo all’ultimo posto, vivendo in totale disponibilità, insegnando coi fatti che l’uomo non può ritrovarsi pienamente se non attraverso il dono sincero di sé, morendo e risorgendo (cfr. GS 24).
5.
  All’inizio di questa riflessione, ho parlato di lava incandescente ed incontenibile che diviene nera, arida.
Giugno è il mese delle prime comunioni e della solennità del Corpus Domini.
Quale nesso tra il Corpus Domini e la lava?
Gesù ama fino alla fine.
Vero Dio, scende fino a farsi come noi.
Come noi, sino a morire; morire in croce.
Lava i piedi ai discepoli mentre questi, se non tradiscono o abbandonano, cincischiano su chi debba essere il più importante.
Ci dona la lava bruciante del suo corpo e del suo sangue.
Noi, chiamati a fare del suo corpo donato e del suo sangue versato la forma della vita…, celebriamo messe!

 

Non ho nascosto la tua grazia in fondo al cuore

Omelia per l'Ordinazione Presbiterale, Tindari 9 ottobre 2004


0.
  Benvenuti e grazie, fratelli, con me, oggi:
a)  testimoni dell’assoluta gratuità della scelta di Dio: «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato» (Ger 1,4-5).
È parola che riguarda Geremia e riguarda pure il nostro Calogero che voi, come me, ricordate fin da piccolo nella casa del Signore, nel Seminario della natia Castell’Umberto quasi a rispondere ad una sicura e precoce chiamata;
b)  protagonisti di:
*    azione apostolica: Gesù ha chiamato, consacrato, inviato i primi discepoli, questi altri e, a catena, fino a questo pomeriggio, in questo santuario; fino alla chiamata di don Calogero Tascone a servizio della Chiesa di Patti, della Chiesa tutta, del mondo;
*    gioia ecclesiale: i confratelli si stringono attorno al nuovo eletto del Signore e della Chiesa; dopo di me gli imporranno le mani a significare che l’accolgono, fratello tra fratelli, nell’ordine sacerdotale.
Paolo esorta Timoteo a rinnovare il dono che gli è stato dato non da Dio direttamente ma ‘per l’imposizione’ dice, ‘delle mie mani’.
Fratelli tutti, e tu, figlio mio, P. Calogero, niente di ciò che riguarda il sacerdote può essere pensato in chiave privatistica.
Si è partecipi del sacerdozio di Gesù, a gloria del Padre, per la luce e la forza del Santo Spirito per servire, con la chiesa, il mondo;
*    gratitudine grande: non finiremmo più di contare e cantare la gratitudine, di contarne i motivi e i soggetti.


1.   Chi è il sacerdote.

a) 
Dono.
La definizione appartiene al Santo Padre ed è illuminante. Purissima generosità, infatti, è il dono di Dio che ama tutti, offre a tutti la salvezza, gratuitamente, per mezzo di Gesù morto e risorto, ora.
La volontà buona di Dio si concreta nel fatto che egli chiama gli uomini a collaborare, dopo avere partecipato loro il sacerdozio dello stesso figlio Gesù.
A tutti, per mezzo del Battesimo, il sacerdozio comune, ed è titolo di salvezza; ad alcuni, per mezzo dell’Ordine Sacro, il sacerdozio ministeriale, pensato, in altre parole, perché non manchino a nessuno la Parola e i sacramenti.
Dono, dunque, è il sacerdozio ed è dono prezioso in vaso fragile.
Alla fragilità faranno rimedio la comunità ecclesiale, la fraternità presbiterale, l’atteggiamento mariano che è atteggiamento materno, ascolto obbediente della Parola, cuore puro, dialogo umile e amoroso col Padre e tensione mai doma nell’indirizzare sempre a lui pensieri e parole, affetti e azioni.
b) 
 Mistero.
È mistero, fratelli, che una creatura sia toccata da quest’amore di predilezione, è mistero che la stessa creatura dica di sì all’amore di Dio.
E all’Amore si doni tutto. Dice bene Giovanni: «noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi» (1Gv 4,16).
Ed è verità che meglio si adatta a chi all’amore accetta di informare tutto se stesso.
c)   Testimone vivente del mistero che lo riguarda e l’ha raggiunto per mediazioni non facilmente analizzabili: «io ho fatto di te un simbolo per gli israeliti» (Ez 12, 6), dice il Signore ad Ezechiele; ed è missione, costosa, senza ferie, seria.
d)   Fascino del gratuito, della mitezza, dell’eterno e definitivo, della verità in un mondo retto dall’utile, dal potere, dal-l’effimero e dalle apparenze.


2.   Cosa fa il sacerdote.

a)   Riconosce che di Dio è il primato assoluto.
b)  Conserva e favorisce e coltiva l’atteggiamento mariano che è devoto silenzio, contemplazione dinanzi alla Parola e crescita in età, sapienza e grazia all’ombra di essa.
c)   Celebra la Messa. È ovvio ed è tutto purché la Messa non si riduca al rito della Messa. Il sacerdote celebra la Messa, dunque convoca i battezzati, proclama la Parola, invoca lo Spirito Santo sul pane e sul vino e sull’assemblea perché divengano rispettivamente presenza, cibo, ostia-offerta e corpo uno. Purché tutti, per il suo ministero:
-    siano raggiunti dall’annuncio della misericordia,
-    possano offrire e offrirsi come ostia spirituale gradita a Dio,
-    consacrati dallo Spirito e da lui fatti uno, prendano luce, forza, audacia per vivere e agire per, con, in Cristo.
d)  (Il sacerdote) vive la speranza e porta la santità e la gioia. Abbandona ogni sicurezza. Guarda sempre avanti senza nostalgie e senza fughe innanzi.
e)   Sa d’essere debitore di tutti sempre e, dunque, nella sua agenda non prevede ferie: «cognoscendo me essere debitore di affaticarmi insino alla morte per la consolazione delle pecorelle a me commesse e pe la loro salute spirituale e temporale, ritengo furato ogni attimo dedicato a me stesso» (S. Antonino Arc. di Firenze).


3.   Quali le priorità del sacerdote.

a)   Don Calogero carissimo, con me è il presbiterio pattese tutto che t’implora: vivi del respiro della Chiesa dialogando amorosamente con Dio; sintonizzati con lo spirito del Vaticano II, riconoscendo ai laici tutto lo spazio che corrisponde alla eguale dignità battesimale.
E l’implorazione è preghiera e la preghiera è fraterno augurio: ti conceda il Signore per la comune preghiera d’essere ora e di perseverare fino alla fine come ti desiderano i poveri, i semplici, i piccoli dinanzi a Dio che ti vogliono bene e come ti desidera colui che ti chiama al ministero.
b)   Tieni presente che fede, giustizia e verità, come del resto tutte le virtù, non vogliono maestri ma discepoli.
E tu sii discepolo, ogni parola possa essere riferita al Vangelo, semina speranza. Fa’, per quanto possibile, prima di dire.


4.   La mia preghiera.

Non togliere mai dalla sua bocca la parola vera perché ha confidato, confida e intende confidare nei tuoi giudizi.
Sia sicuro nel suo cammino perché ha ricercato la tua volontà (Sl 111, 41-48).

5.   Il mio augurio.

*
   A padre Calogero:
     possa tu sempre, con verità, dichiarare: «non ho nascosto la tua giustizia in fondo al cuore, la tua grazia» (cfr. Sl 39,10-14.17-18) ma me ne sono fatto araldo, testimone e strumento vivente.

*
   Alla santa Chiesa pattese:
     possa essa contare, oggi  e  sempre, sulla  fedeltà  di  ognuno dei suoi battezzati, su quella di don Calogero e del Presbiterio Diocesano che oggi lo accetta fratello tra fratelli, di ognuno dei suoi battezzati, oltre che su quella sicura e fondante della Trinità Santissima.

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