La terza meditazione del Vescovo per il tempo di Avvento

Come attendiamo: «vigilanti nella preghiera, operosi nella carità, esultanti nella lode»

          Carissimi Amici,

si avvicina sempre di più il giorno della nascita del nostro Salvatore e il nostro cuore si riempie di gioia perché egli viene a visitarci come sole dall’alto che illumina la nostra vita. In questi giorni di attesa dobbiamo fermarci per un attimo e chiederci come attendiamo il Salvatore. La Chiesa attraverso la liturgia ci accompagna e ci consegna alcuni atteggiamenti per vivere in modo fecondo questo tempo di Avvento e per essere pronti ad aprire le porte del nostro cuore quando Egli verrà.

La colletta del lunedì della prima settimana di Avvento consegna un itinerario di vita per pre­parare la venuta del Signore:

«Il tuo aiuto, o Padre, ci renda perseveranti nel bene in attesa del Cristo tuo Fi­glio; quando egli verrà e busserà alla porta ci trovi vigilanti nella preghiera, ope­ro­si nella carità fraterna ed esultanti nella lode».

a) Vigilanti nella preghiera

Si tratta di vivere l’attesa con il cuore vigilante cioè sempre abitato dal desiderio di accogliere il Signore nella propria vita. Il cristiano è colui che attende sempre il Signore perché Egli viene continuamente. L’attesa diventa così desiderio di un incontro che si vive nel dialogo con Lui nella preghiera e suscita l’invocazione: Vieni Signore Gesù! Basilio di Cesarea scriveva: “Proprio del cristiano è vigilare ogni giorno e ogni ora ed essere pronto nel compiere perfettamente ciò che è gradito a Dio, sapendo che all’ora che non pensiamo il Signore viene”. La preghiera mantiene desta la tensione all’incontro con Cristo e aiuta a restare vi­gi­lan­ti, presenti a sé stessi per vivere alla presenza di Dio, nel ricordo della sua Parola, per­ché i nostri gesti e le nostre parole siano resi maggiormente conformi al Vangelo.

La vigilanza è quindi relativa alla persona di Gesù Cristo che continuamente viene ed ogni cristiano deve essere pronto a cogliere i segni della sua venuta. Per questo è importante vivere il tempo dell’attesa del Signore in atteggiamento orante, con la preghiera. Essa non solo ci fa percepire la presenza del Signore nella nostra vita, ma aiuta anche fare verità su noi stessi mantenendo il cuore sveglio. La vigilanza orante ci permette di leggere gli eventi che acca­do­no in noi e attorno a noi con lo sguardo di Dio e ci consente di leggere la storia con lucidità interiore.

Un noto biblista de secolo scorso Alonso Schochel scriveva: «pregare significa invocare il Padre perché ci riveli il Figlio e un implorare il Figlio perché ci riveli il Padre. Pregare significa affacciarsi al mistero della comunicazione misteriosa di amore che vi è tra il Padre e il Figlio per esserne partecipi secondo la nostra capacità…Non si tratta solo di pregare, ma di contemplare; e il contemplare non è pura conoscenza intellettuale. Possiamo conoscere tutto ma non comprendere nulla. Contemplare è sentire in noi l’azione dello Spirito e aprirci al mistero di Dio…». La vigilanza orante deve aiutarci ad acquisire un cuore contemplativo per riconoscere nella grotta di Betlemme il Figlio di Dio che viene ad accendere nel buio del mondo la luce dell’amore del Padre.

Nella lettera che ho inviato alle famiglie della diocesi all’inizio dell’Avvento suggerivo di «approntare in casa “l’angolo della preghiera” dove riunirsi ogni giorno per pregare insieme, leggere la Parola di Dio anche aiutati da segni (davanti al presepe, ad una icona sacra, un lumino acceso…) e così attendere il Signore con il cuore vigilante nella preghiera. Sarà il modo più vero e più fecondo per vivere l’Avvento come un tempo di fede animato dalla speranza che rinfranca il cuore».

b) Operosi nella carità fraterna

Un’altro invito che accogliamo dalla liturgia è vivere l’Avvento con atteggiamento operoso nella carità. Mi ha sempre colpito una frase del teologo protestante Dietrich Bonhoeffer, ucciso nel campo di concentramento di Flossenbürg nell’aprile del 1945:

 “Non ci interessa un divino che non faccia fiorire l’umano. Un divino cui non corrisponda il rigoglio dell’umano non merita che ad esso ci dedichiamo”.

A Natale Dio si fa uomo perché la vita degli uomini e delle donne esprima la fioritura di una umanità pienamente realizzata perché raggiunta dall’amore di Dio. Natale è la festa dell’incontro tra Dio e l’uomo nella tenerezza del Bambino Gesù che desidera essere riconosciuto, attraverso gesti di amore e di solidarietà, nei fratelli e nelle sorelle che incontriamo nel nostro cammino.

Nella notte di Natale ascolteremo nelle chiese queste parole: Maria «diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,7). Il Figlio di Dio si fa uomo, ma gli uomini non lo accolgono e Lui deve essere posto in una mangiatoia. Maria e Giuseppe si presentano alla “locanda di Betlemme”, ma per loro non c’è posto e vengono respinti; rimangono fuori e non possono entrare. Dovranno accontentarsi di una grotta, un alloggio di fortuna dove tutti possono entrare perché la grotta non ha porte, che ne impediscono l’ingresso.

          In questo tempo di attesa la nostra umanità fiorisce quando, incontrando i nostri fratelli, ci lasciamo guidare dall’amore, superando paure, chiusure, resistenze, pregiudizi, freddezze, indifferenze; quando siamo capaci di donare amore ai fratelli che incontriamo sulle strade della nostra esistenza.

          Cristo desidera nascere, più che nei presepi e nello sfolgorio delle luci e nelle melodie delle nenie natalizie che coinvolgono solo l’emotività, nel cuore dell’uomo per renderlo ancora di più capace di operare il bene e di esprimere solidarietà. Anche oggi potrà accadere che per Cristo “non c’è posto”, perché si fa fatica a riconoscerlo nel volto dei poveri, degli stranieri in cerca di pane, accoglienza ed aiuto, dell’ammalato, dell’anziano solo ed abbandonato, del bambino bisognoso di protezione e di tenerezza, del giovane in difficoltà, delle famiglie provate da vari disagi.  Se il nostro cuore non chiude le porte alla richiesta di aiuto e di amore, allora sarà veramente come la grotta di Betlemme, libera, aperta e disponibile ad accogliere il divino che farà fiorire l’umano che è in noi, rendendo bella e luminosa la nostra vita e quella dei nostri fratelli. Questo significa vivere l’attesa del Signore rimanendo operosi nella carità.

c) Esultanti nella lode

Il terzo invito che accogliamo in questo tempo di attesa é l’esultanza nella lode. La lode rimanda a Dio perché Lui è degno di lode e di gloria. Sono i due termini che risuonano al momento dell’annunzio della nascita nella notte di Natale. La lode a Dio suscita nel cuore dell’uomo tanta gioia interiore. Tutto ciò ci fa comprendere che l’esultanza vera, la gioia autentica è dono di Dio. Paolo apostolo ci esorta, infatti a «gioire nel Signore sempre!». Perché questa gioia viene dall’alto ed ha come invito pressante a non separarsi da Lui e questo ci fa comprendere che la gioia e l’altra faccia dell’umiltà. Gesù nasce povero, sono gli umili pastori che si recano alla grotta e quando vedono il Bambino sono inondati di gioia. Sono le piccole cose, i gesti semplici, le azioni umili che riempiono il cuore di gioia e ci permettono di esultare nella lode. Questa è la gioia del Dio vicino all’umanità, una gioia alternativa a quella che propone il mondo perché essa nasce dalla gratuità dell’amore. Dio nasce per stare vicino all’uomo e alle donne in ogni tempo e quindi non si ha motivo per rimanere tristi perché è proprio di Dio dare gioia senza alcun motivo, non c’è bisogno di una causa se non la sua Presenza, così la gioia cristiana diviene lieta notizia. Pensiamo alle parole che risuonano nel cielo di Betlemme la notte di Natale: «Vi annunzio una grande gioia: oggi è nato per voi il Salvatore».

Continuiamo il nostro cammino in questo tempo di attesa impegnandoci ad essere vigilanti nella preghiera, operosi nella carità ed esultanti nella lode.

+ Guglielmo, Vescovo