Domenica 15 novembre 2020

La parabola dei talenti contiene un’espressione che il padrone rivolge ai primi due servi che sono riusciti a raddoppiare quanto era stato dato loro. Ad entrambi i servi il padrone ripete: “prendi parte alla gioia del tuo padrone”. In questa frase si trova mirabilmente sintetizzato ciò a cui siamo chiamati, cioè essere partecipi della stessa gioia di Dio.

A pensarci bene, invece, ciò che ha a che fare con l’esperienza religiosa, non di rado, viene associato con qualcosa che annoia, stanca e forse addirittura incupisce l’esistenza.

I numerosi doni che Dio ci mette a disposizione lungo il corso della nostra vita hanno come unico e definitivo scopo quello di poter condurre l’intera nostra vita – potremmo dire – con “3 b”, cioè una vita buona, bella e beata.

Ecco cosa ha pensato Dio da tutta l’eternità per ognuno di noi; non certo di sopportare sacrifici e sofferenze ma piuttosto, attraverso le nostre scelte di ogni giorno predisporci ad essere partecipi della gioia che solo Dio ci può dare e che solo in lui, e in nessun altro, possiamo realmente trovare.

Lasciamo allora che risuoni nei nostri cuori questa rasserenante promessa, quella cioè di partecipare, per tutta l’eternità, alla gioia stessa di Dio. A ciascuno è dato quel che occorre per vivere di Dio, con Dio e per Dio.

Nessuno potrà mai dire di trovarsi nella condizione di chi non ha avuto l’opportunità per poter vivere come Dio voleva perché Dio a tutti dà quanto ognuno è in grado di accogliere.

Dio dà sempre con larghezza, secondo la capacità di ciascuno.

Dio provvede tutti di quei talenti indispensabili che consentono di passare dall’accoglienza della vita come un dono alla logica di saper fare di tutta la propria vita un dono. Infatti, i doni di Dio da Dio provengono e a Dio conducono.

Chiediamo al Signore di saper impiegare sempre tutti e singoli doni che nella sua divina liberalità ha fatto ad ognuno di noi e così potremo evitare l’insidioso rischio di “sotterrare” il nostro talento come ha fatto il terzo servo della parabola il quale, pur sapendo che il padrone era assai esigente, ha preferito lo stesso condurre la vita all’insegna dell’immobilismo più assoluto.

Da parte nostra cerchiamo di fare di tutto per non dimenticare mai che Dio non è un freddo contabile che vuole restituito ciò che ci ha dato con l’interesse, ma piuttosto il Padre di ogni dono che sa ricompensare sempre lo stile di vita operosa di tutti i suoi figli che intendono fare dei suoi doni non un’esperienza di possesso avido ed egoistico, ma una fraterna circolazione di beni che solo sapendoli condividere riescono, a loro volta, a fare tanto bene.

p. Enzo Smriglio