L’omelia di Mons. Guglielmo Giombanco al Solenne Pontificale di Pasqua

«Questo è il giorno di Cristo Signore. Alleluia, Alleluia!

Celebrare la Pasqua significa entrare in questo giorno per sperimentare nella propria vita la potenza della risurrezione. Entrare in questo giorno vuol dire incontrare il Risorto, lasciarsi illuminare dalla sua luce, afferrare dalla Sua presenza, conquistare dal Suo amore.

Credere nella risurrezione significa avere fede alla Sua Parola: «E’ risorto come aveva detto».

La tomba aperta non è la condizione della resurrezione, ma è la resurrezione che svuota la tomba: «Non è qui, infatti è risorto».

 

L’evento della resurrezione di Gesù è presente nelle tre letture proclamate.

Nel libro degli Atti abbiamo ascoltato l’annuncio della resurrezione che la Chiesa primitiva fa per bocca di Pietro. Egli dà testimonianza della resurrezione di Gesù e lo proclama Signore, costituito tale da Dio sull’umanità e sul cosmo.

L’annuncio svela il carattere dinamico della storia della salvezza che nella resurrezione di Gesù trova un punto culminante, ma non conclusivo: essa non chiude la storia bensì la orienta in modo totalmente rinnovato.

All’annuncio profetico segue la testimonianza apostolica della Chiesa: «Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse. Tutti i profeti gli rendono questa testimonianza» (Atti). Tutti noi battezzati, partecipi del dono profetico, siamo chiamati a vivere e a proclamare questo annuncio perché per mezzo del battesimo siamo stati fatti partecipi della risurrezione di Cristo e, grazie a Lui, abbiamo la possibilità di una nuova vita. S. Paolo nella seconda lettura ci ha esortati a vivere da risorti con Cristo «siete risorti con Cristo» (Col 3,1).

Questa affermazione non stabilisce per il battezzato un punto di arrivo, bensì lo immette in una ricerca incessante, in un dinamismo spirituale continuo e interamente posto sotto il segno della grazia, del dono ricevuto.

Il significato della «ricerca delle cose di lassù e non di quelle della terra», non deve dunque essere frainteso da parte del cristiano come un disimpegno storico, una sorta di fredda indifferenza alla lotta del quotidiano, ma alla necessità di attraversare la storia senza aderire a logiche della terra ma piuttosto a quelle del Dio incarnato in Gesù Cristo. Solo così capiremo che credere significa vegliare con Cristo e prendere sul serio le sofferenze di Dio nel mondo. Cercare le cose di lassù significa vivere con generosità, con spirito di servizio, con grande attenzione ai bisogni dei fratelli, vivere in modo veramente degno di Cristo, che ha dato la vita per noi. Il Risorto ci invita ad essere tutti portatori di vita e non di morte, attraverso il bene che ciascuno di noi, come cristiano, ha il dovere di compiere.

Tale atteggiamento ci permette di vivere nella storia da persone risorte che hanno abbandonato la corazza dell’indifferenza fredda e sterile, per rivestire l’abito della gratuità e dell’amore verso i fratelli. Persone capaci di vivere in pienezza la propria umanità e di donare vita.

La fede nella resurrezione del Signore innesta nel cuore degli uomini una forza dinamica che induce a mettersi in cammino con il Risorto. L’esperienza quotidiana ci mette davanti il dramma dell’uomo umiliato e calpestato nella sua dignità  e ci sollecita a custodire questa forza interiore se vogliamo che la nostra storia personale e comunitaria abbia una svolta, un futuro.

Il vangelo presenta, con i tre personaggi Maria di Magdala, Pietro e Giovanni, un itinerario di fede che è anche un itinerario del vedere: da un vedere che ha per oggetto la pietra ribaltata dal sepolcro, le bende, il sudario per terra; ma non si tratta di un vedere e basta, ma di un vedere che sfocia nella fede o almeno su un inizio di fede che deve essere completato dall’ascolto delle Scritture: «Non avevano infatti ancora compreso le Scritture. Un vedere che vede l’invisibile.

La fede cristiana confessa e crede la risurrezione vedendo dei segni di morte. Ma non questi segni introducono alla fede nella resurrezione, bensì l’intelligenza dell’amore (il discepolo amato) e la fede nelle Scritture. In effetti, nel discepolo amato che «vide e credette», vi è come la fede nasce dall’amore.

E’ la fede nella parola del Signore e nel suo amore che consente di iniziare a continuare a credere la resurrezione in mezzo agli innumerevoli segni di morte che traversano la nostra vita e il nostro mondo. Vivere la fede come certezza di essere amati dal Signore, come verità del suo amore per noi, è alla base della fede nella nostra resurrezione: il suo amore per noi non termina con la morte.

Questa fede, che interpreta il vuoto della tomba, può anche soccorrere la nostra vita nel momento del terrore del vuoto di amore e della paura dell’abbandono che ci fa abitare nella morte.

Dietro al discepolo amato vi è infatti ogni discepolo di Gesù nella storia chiamato ad entrare nella fede del Dio che lo ama.

La fede nella resurrezione, che è al cuore della fede cristiana, non coincide con una semplice fiducia nella vita, ma crede la vita che nasce dalla morte grazie alla forza dell’amore di Cristo.

Essa consente di entrare nelle situazioni di morte guardando altre la morte e vivendo la risurrezione, ovvero amando o cercando di amare come Cristo ha amato e, soprattutto credendo al suo amore per noi.

Entri dunque in noi la Pasqua di Gesù risvegliandoci se siamo assopiti, penetri in noi trasformando la nostra vita stanca e sfiduciata e ci richiami ad una vita diversa protesa al futuro con speranza.

La Pasqua ci dice che la nostra vita ha un senso, che la nostra storia non è sospesa nel vuoto, ma è animata dalla forza dell’amore di Cristo Risorto che innesta nel cuore dell’uomo la speranza. A tutti auguro di credere nella risurrezione e nella vita perché Cristo è risorto, alleluia!

+ Guglielmo, Vescovo