Lettera del Santo Padre Giovanni Paolo II
ai Sacerdoti

Giovedì Santo 2004

Carissimi Sacerdoti!

1.
  È con gioia ed affetto che vi scrivo, in occasione del Giovedì Santo, seguendo una tradizione iniziata con la mia prima Pasqua da Vescovo di Roma, venticinque anni or sono. Quest'appuntamento epistolare, che riveste una speciale dimensione di fraternità per la comune partecipazione al Sacerdozio di Cristo, si colloca nel contesto liturgico di questo giorno santo, caratterizzato da due significativi riti: la Messa del Crisma al mattino, e quella in Cena Domini alla sera.

Vi penso dapprima riuniti nelle Cattedrali delle vostre Diocesi, attorno ai rispettivi Ordinari, per rinnovare le promesse sacerdotali. Questo rito, tanto eloquente, si svolge dopo la consacrazione degli Oli santi, segnatamente del Crisma, e ben si inserisce in tale Celebrazione, che evidenzia l'immagine della Chiesa, popolo sacerdotale santificato dai Sacramenti e inviato a diffondere nel mondo il buon profumo di Cristo Salvatore.
Sul far della sera, vi vedo entrare nel Cenacolo per iniziare il Triduo pasquale. È proprio in quella «sala al piano superiore» che Gesù ci invita a ritornare ogni Giovedì Santo, ed è là che più mi è caro incontrarmi con voi, amati Fratelli nel Sacerdozio. Nell'Ultima Cena siamo nati come sacerdoti: ecco perché è bello e doveroso ritrovarci nel Cenacolo, condividendo la memoria, colma di riconoscenza, dell'alta missione che ci accomuna.


2.
  Siamo nati dall'Eucaristia. Quanto affermiamo della Chiesa intera, che cioè «de Eucharistia vivit», come ho voluto ribadire nella recente Enciclica, possiamo ben dirlo del Sacerdozio ministeriale: esso trae origine, vive, opera e porta frutto «de Eucharistia». «Non esiste Eucaristia senza Sacerdozio, come non esiste Sacerdozio senza Eucaristia».

Il ministero ordinato, che mai può ridursi al solo aspetto funzionale, perché si pone sul piano dell'«essere», abilita il presbitero ad agire in persona Christi e culmina nel momento in cui egli consacra il pane e il vino, ripetendo i gesti e le parole di Gesù nell'Ultima Cena.
Dinanzi a questa straordinaria realtà rimaniamo attoniti e sbalorditi: tanta è l'umiltà condiscendente con cui Dio ha voluto così legarsi all'uomo! Se sostiamo commossi davanti al Presepe contemplando l'incarnazione del Verbo, che cosa provare di fronte all'altare dove, per le povere mani del sacerdote, Cristo rende presente nel tempo il suo Sacrificio? Non ci resta che piegare le ginocchia e in silenzio adorare questo sommo mistero della fede


3.
  «Mysterium fidei», proclama il sacerdote dopo la consacrazione. Mistero della fede è l'Eucaristia, ma, per riflesso, mistero della fede è anche il Sacerdozio stesso. Il medesimo mistero di santificazione e d'amore, opera dello Spirito Santo, per il quale il pane e il vino diventano il Corpo e il Sangue di Cristo, agisce nella persona del ministro al momento dell'Ordinazione sacerdotale. Esiste, pertanto, una specifica reciprocità tra l'Eucaristia e il Sacerdozio, che risale al Cenacolo: si tratta di due Sacramenti nati insieme, le cui sorti sono indissolubilmente legate fino alla fine del mondo.

Tocchiamo qui quella che ho chiamato l'«apostolicità dell'Eucaristia». Il Sacramento eucaristico - come quello della Riconciliazione - è stato da Cristo affidato agli Apostoli e tramandato da essi e dai loro successori di generazione in generazione. All'inizio della vita pubblica, il Messia chiamò i Dodici, li costituì perché «stessero con lui» e per inviarli in missione. Nell'Ultima Cena lo «stare con» Gesù raggiunse per gli Apostoli il culmine. Celebrando la Cena pasquale e istituendo l'Eucaristia, il divino Maestro diede compimento alla loro vocazione. Dicendo: «Fate questo in memoria di me», pose il sigillo eucaristico sulla loro missione e, unendoli a sé nella comunione sacramentale, li incaricò di perpetuare quel gesto santissimo.
Mentre pronunciava quelle parole: «Fate questo...», il suo pensiero si estendeva ai successori degli Apostoli, a coloro che avrebbero dovuto prolungarne la missione, distribuendo il Cibo della vita fino agli estremi confini della terra. E così, in un certo senso, nel Cenacolo siamo stati chiamati anche noi personalmente, ad uno ad uno, «con affetto di predilezione», cari Fratelli nel Sacerdozio, per ricevere dalle mani sante e venerabili del Signore il Pane eucaristico, da spezzare in sostentamento del Popolo di Dio, pellegrinante sulle strade del tempo verso la Patria.


4.
L'Eucaristia, come il Sacerdozio, è un dono di Dio, «che supera radicalmente il potere dell'assemblea» e che questa «riceve attraverso la successione episcopale risalente agli Apostoli». Insegna il Concilio Vaticano II che «il sacerdote ministeriale, con la potestà sacra di cui è investito... compie il sacrificio eucaristico in persona di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo». L'assemblea dei fedeli, una nella fede e nello Spirito e arricchita di molteplici doni, pur costituendo il luogo in cui Cristo «è presente nella sua Chiesa, in modo speciale nelle azioni liturgiche», non è in grado da sola né di «fare» l'Eucaristia né di «darsi» il ministro ordinato.

Ben a ragione il popolo cristiano, mentre da una parte ringrazia Iddio per il dono dell'Eucaristia e del Sacerdozio, dall'altra non cessa di pregare perché mai manchino sacerdoti nella Chiesa. Non è mai sufficiente il numero dei presbiteri per far fronte alle crescenti esigenze dell'evangelizzazione e della cura pastorale dei fedeli. In alcune parti del mondo la loro scarsità si avverte oggi con maggiore urgenza, perché si assottiglia la schiera dei sacerdoti, senza che ci sia un sufficiente ricambio generazionale. Altrove, grazie a Dio, si assiste ad una promettente primavera vocazionale. Va inoltre aumentando nel Popolo di Dio la consapevolezza di dover pregare e operare attivamente per le vocazioni al Sacerdozio e alla Vita consacrata.


5.
  Sì, le vocazioni sono dono di Dio da implorare incessantemente. Accogliendo l'invito di Gesù, occorre anzitutto pregare il Padrone della messe perché mandi operai nella sua messe. È la preghiera, avvalorata dall'offerta silenziosa della sofferenza, il primo e più efficace mezzo della pastorale vocazionale. Pregare è mantenere fisso lo sguardo su Cristo, fiduciosi che da Lui stesso, unico Sommo Sacerdote, e dalla sua divina oblazione, scaturiscono in abbondanza, per l'azione dello Spirito Santo, i germi di vocazione necessari in ogni tempo alla vita e alla missione della Chiesa.

Sostiamo nel Cenacolo contemplando il Redentore che nell'Ultima Cena istituì l'Eucaristia e il Sacerdozio. In quella notte santa Egli ha chiamato per nome ogni singolo sacerdote di tutti i tempi. Il suo sguardo si è rivolto a ciascuno, sguardo amorevole e preveniente, come quello che si posò su Simone e Andrea, su Giacomo e Giovanni, su Natanaele, quando stava sotto il fico, su Matteo, seduto al banco delle imposte. Gesù ha chiamato noi e, per molteplici strade, continua a chiamare tanti altri ad essere suoi ministri.
Dal Cenacolo Cristo non si stanca di cercare e di chiamare: sta qui l'origine e la perenne sorgente dell'autentica pastorale delle vocazioni sacerdotali. Di essa, Fratelli, sentiamoci i primi responsabili, pronti ad aiutare quanti Egli intende associare al suo Sacerdozio, perché rispondano generosamente al suo invito.
Prima, però, e più di ogni altra iniziativa vocazionale, è indispensabile la nostra fedeltà personale. Conta, infatti, la nostra adesione a Cristo, l'amore che nutriamo per l'Eucaristia, il fervore con cui la celebriamo, la devozione con cui l'adoriamo, lo zelo con cui la dispensiamo ai fratelli, specialmente ai malati. Gesù Sommo Sacerdote continua a invitare personalmente operai per la sua vigna, ma ha voluto aver bisogno fin dagli inizi della nostra attiva cooperazione. Sacerdoti innamorati dell'Eucaristia sono in grado di comunicare a ragazzi e giovani lo «stupore eucaristico», che ho inteso ridestare con l'Enciclica Ecclesia de Eucharistia. Sono in genere proprio loro ad attirarli in tal modo sulla via del Sacerdozio, come potrebbe utilmente dimostrare la storia della nostra vocazione.


6.
  Proprio in questa luce, cari Fratelli sacerdoti, privilegiate, accanto ad altre iniziative, la cura dei ministranti, che costituiscono come un «vivaio» di vocazioni sacerdotali. Il gruppo di ministranti, ben seguito da voi all'interno della comunità parrocchiale, può percorrere un valido cammino di crescita cristiana, quasi formando una sorta di pre-seminario. Educate la parrocchia, famiglia di famiglie, a vedere nei ministranti i suoi figli, come «virgulti intorno alla mensa» di Cristo, Pane di vita.

Avvalendovi della collaborazione delle famiglie più sensibili e dei catechisti, seguite con premurosa sollecitudine il gruppo dei ministranti perché, attraverso il servizio all'altare, ciascuno di essi impari ad amare sempre più il Signore Gesù, lo riconosca realmente presente nell'Eucaristia, gusti la bellezza della liturgia. Tutte le iniziative per i ministranti organizzate a livello diocesano o di zone pastorali vanno promosse e incoraggiate.
Negli anni di ministero episcopale a Cracovia ho potuto rilevare quanto proficuo sia dedicarsi alla loro formazione umana, spirituale e liturgica. Quando fanciulli e adolescenti svolgono il servizio all'altare con gioia ed entusiasmo, offrono ai loro coetanei un'eloquente testimonianza dell'importanza e della bellezza dell'Eucaristia.
Grazie alla spiccata sensibilità immaginativa, che contraddistingue la loro età, e con le spiegazioni e l'esempio dei sacerdoti e dei compagni più grandi, anche i più piccoli possono crescere nella fede e appassionarsi alle realtà spirituali.
Ed infine, non dimenticate che i primi «apostoli» di Gesù Sommo Sacerdote siete voi: la vostra testimonianza conta più di qualunque altro mezzo e sussidio. Nella regolarità delle celebrazioni domenicali e feriali, i ministranti incontrano voi, nelle vostre mani vedono «farsi» l'Eucaristia, sul vostro volto leggono il riflesso del Mistero, nel vostro cuore intuiscono la chiamata di un amore più grande. Siate per loro padri, maestri e testimoni di pietà eucaristica e di santità di vita!


7.  
Carissimi Fratelli sacerdoti, la vostra peculiare missione nella Chiesa esige che siate «amici» di Cristo, contemplandone assiduamente il volto e ponendovi docilmente alla scuola di Maria Santissima. Pregate incessantemente, come esorta l'Apostolo, ed invitate i fedeli a pregare per le vocazioni, per la perseveranza dei chiamati alla vita sacerdotale e per la santificazione di tutti i sacerdoti. Aiutate le vostre comunità ad amare sempre più il singolare «dono e mistero» che è il Sacerdozio ministeriale.

Nel clima orante del Giovedì Santo mi tornano alla mente alcune invocazioni delle Litanie di Gesù Cristo Sacerdote e Vittima, che da tantissimi anni ormai recito con grande beneficio dell'animo:

Iesu, Sacerdos et Victima,
Iesu, Sacerdos qui in novissima Cena formam sacrificii perennis instituisti,
Iesu, Pontifex ex hominibus assumpte,
Iesu, Pontifex pro hominibus constitute,
Iesu, Pontifex qui tradidisti temetipsum Deo oblationem et hostiam, miserere nobis!
Ut pastores secundum cor tuum populo tuo providere digneris,
ut in messem tuam operarios fideles mittere digneris,
ut fideles mysteriorum tuorum dispensatores multiplicare digneris,
Te rogamus, audi nos!


8.
   Affido ciascuno di voi e il vostro quotidiano ministero alla Madre dei Sacerdoti. Nella recita del Rosario, il quinto mistero della luce ci conduce a contemplare con gli occhi di Maria il dono dell'Eucaristia, a stupirci per l'amore «sino alla fine» che Gesù ha manifestato nel Cenacolo e per l'umiltà della sua presenza in ogni Tabernacolo.

Vi ottenga la Vergine Santa di non abituarvi mai al Mistero posto nelle vostre mani. Ringraziando senza sosta il Signore per lo straordinario dono del suo Corpo e del suo Sangue, potrete perseverare fedelmente nel vostro ministero sacerdotale.
E Tu, Madre di Cristo Sommo Sacerdote, ottieni sempre alla Chiesa numerose e sante vocazioni, fedeli e generosi ministri dell'altare.
Cari Fratelli sacerdoti, auguro a voi e alle vostre Comunità una santa Pasqua, mentre di cuore tutti vi benedico.
Dal Vaticano, 28 marzo, domenica quinta di Quaresima, dell'anno 2004, ventiseiesimo di Pontificato.

Giovanni Paolo II

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