LA CATECHESI DEL VESCOVO

 

Santuario del Tindari, 8 aprile 2005
Santa Messa di suffragio per il Santo Padre

Il manifesto di lutto della Diocesi

Omelia di S. E. Mons. Ignazio Zambito

C

i raccoglie qui il desiderio, autentico bisogno dell’anima, di ritrovarci, pregare, incoraggiarci, quasi, nel nome di Sua Santità Giovanni Paolo II. Io che, per dare corpo a tale desiderio, vi ho invitato, adempio, innanzi tutto, il dovere di ringraziarvi. E sono due i motivi del mio grazie:
a) il primo: avete accettato di unire la vostra alla mia preghiera, il vostro al mio pubblico attestato di stima e affetto per il Santo Padre;
b) il secondo: insieme alla umanità intera avete offerto in questa occasione un credito di stima per la Chiesa veramente grande, che ha sorpreso me e non solo me: di questo vi ringrazio.

D

alla sera di sabato scorso, 2 aprile, il mondo, ne siamo testimoni, veglia accanto alla salma di Giovanni Paolo II rispettoso, in preghiera, come con il fiato sospeso. Come Gamaliele, di cui nel brano degli Atti, egli è «dottore della legge, stimato presso di tutto il popolo».
Di lui si sono occupati i giornalisti, gli uomini politici, i professionisti della cultura e le persone che, in numero non calcolabile, intuiscono la grandezza del carisma di questo uomo che, venuto dal Nord, ha accompagnato il passaggio dell’umanità al terzo millennio.
Sarete agevolmente d’accordo con me se dico che non è facile dire cose che non siano già state dette. Per questo che, più che parlare di lui, di lui, con voi, voglio mettermi in ascolto.

G

iovanni Paolo II non ha una famiglia. Morti i genitori e l’unico fratello quando egli era ancora ventenne. Come Melchisedek re di Salem, è senza padre e senza madre, la sua famiglia è la Chiesa e, con la Chiesa, è a servizio del mondo.
È un mistico, persona educata a guardare cose, avvenimenti e persone dal punto di vista di Dio. Educato, intendo, dal temperamento, dal lavorio personale, dall’incontro con persone di statura eccezionale, (egli amava ricordare l’arcivescovo Stefano Sapieha che durante gli anni del Nazismo l’aveva accolto nel seminario diocesano costretto alla clandestinità e tutti sanno del rapporto con l’eroico arcivescovo Stefano Wyszvnki) educato, dicevo, dalla lunga preghiera, dalle esperienze di vita, dalle frequentazioni filosofiche, dall’impatto con le inumane ideologie del XX secolo.
Questa educazione l’ha portato alla convinzione che l’uomo, fornito di coscienza psicologica e morale, per ciò stesso, non è solo materia, egli stesso è testimonianza, la più autorevole, dell’esistenza del trascendente.
Questa trascendenza, da prete, da vescovo, da papa, in tutte le vicende, testimonierà sempre e dovunque. Su questa trascendenza innesta il suo essere efficace testimone di speranza.

C

hi non tiene conto di questo ha vera insuperabile difficoltà a comprendere il suo alzarsi dinanzi al giovane che va a salutarlo dopo avergli rivolto un imbarazzato indirizzo augurale, la sua disponibilità ad incontrare tutti, senza risparmiarsi, senza paura di chi per motivi ideologici avrebbe desiderato che il Papa, per esempio, ricevesse i politici dell’orientamento politico preferito negandosi ad altri d’orientamento opposto, il suo correre da un continente all’altro, da una sede istituzionale all’altra, l’invito estemporaneo ad esibirsi con il loro spettacolo negli austeri saloni agli occasionali giocolieri in sosta dinanzi al portone della residenza papale di Castelgandolfo, il suo desiderio di incontrare e ascoltare scienziati, filosofi, teologici, letterati ecc. in un elenco che non finisce mai.
E la trascendenza dell’uomo spiega come mai l’uomo è inchiodato all’insoddisfazione finché non giunge a riposare in Dio.
Da qui, da qui e da nessun’altra fonte, il grido con cui ha dato inizio al servizio di capo visibile della Chiesa, di papa:
«non abbiate paura di aprire le porte a Cristo, Cristo infatti sa quello che c’è in ogni uomo» (Gv 2, 25) Lui solo lo sa!
Da qui il motto che offre la chiave interpretativa del suo servizio, quel Totus tuus! che dall’ottobre 1978, campeggia in Vaticano e gira per il mondo in santini, canti, statue.
Da qui la convinzione, non teorica ma stella che ne orienta parole ed azioni, che la gloria di Dio è l’uomo vivente!’.
Da qui, teologo, parte da Dio per arrivare all’uomo; uomo vero ed esperto d’umanità, partendo dall’uomo, cerca di condurre a Dio gli uomini datigli come fratelli dalla Provvidenza.

D

ai primi mesi del suo servizio Giovanni Paolo II ci ha dato una messe abbondante di documenti che spaziano dalla ecclesiologia all’ecumenismo, dalla sociologia all’etica nei diversi ambiti, dalla liturgia all’arte, alla dogmatica.
Egli alla fine, però, non predica
«se non Cristo, questi crocifisso» (1Cor 2,2) e il suo amore per l’uomo.
Amore che niente ha da spartire con l’accondiscendenza a buon mercato, con la svendita delle vette dell’impegno.
Amore che non ignora gli ostacoli ma tutti li supera perché tutto vince l’amore.
Amore che non è vaga poesia ma si esprime, come fa sempre l’amore autentico, dando e soffrendo.
Amore che passa dalla povertà di Betlemme, transita dall’anonimato trentennale di Nazaret, giunge alla radicalità sconvolgente del Getsemani, del pretorio di Pilato, della corona di spine, dei flagelli, del Calvario e tutto supera e sconvolge
«di mattino, nel primo giorno dopo il sabato» (Mc 16, 9) quando i suoi amici esperimentano che il Vivente non va cercato nella tomba, tra i morti.
Amore che è passione per l’uomo per il quale sente il debito della verità intera della proposta cristiana:

«
Questo Gesù Dio l’ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni, (io ne sono testimone). Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!» (At 2,32.36).
«
Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in C. Gesù» (Gal 3,27-28).
Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità (1Cor 5,7-8).
E Giovanni Paolo non ha avuto mai diplomazie, paure, reticenze nel chiamare col nome specifico il vecchiume da cui vuole salvaguardare chiunque accetti di ascoltarlo: vecchiume è il nazismo, vecchiume è il comunismo, vecchiume è il capitale che, se innalzato a divinità, si rivela tragico Moloc che travolge, pesta, spoglia d’ogni dignità masse enormi e inermi, vecchiume è il disprezzo della vita. Della vita segnatamente debole.
Egli, Giovanni Paolo, è il servitore del Crocifisso risorto e rende conto solo a lui e, per questo, avrà un solo parlare con i potenti della terra, con l’attentatore che, il 13 maggio 1981, cambiò la sua vita, con le masse che accorrono a vederlo e sentirlo in tutte le piazze del mondo, negli USA, nella polvere dell’Africa, in Asia, nelle città italiane, con i figli della Chiesa, con i credenti di religioni altre rispetto alla Cattolica.

A

bele, insegna la Lettera agli Ebrei, per fede, offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e in base a tale fede fu dichiarato giusto, attestando Dio stesso di gradire i suoi doni; per la fede, benché morto, parla ancora (Eb 11,4).
La stessa cosa si può dire del nostro Santo Padre Giovanni Paolo II, dono autentico di Dio alla nostra epoca.
Egli è morto ed è proprio la sua morte che ci raccoglie nel Santuario di Tindari dove venne pellegrino nel 1988 rallegrando e onorando la nostra terra. 
Egli è morto ma la fede che gli consentì di offrire la sua vita in sacrificio a Dio, a vantaggio degli uomini, fa sì che egli ci parli ancora.
Egli parla ancora e noi vogliamo:
●  ascoltare e fare tesoro del suo magistero;
●  fare grata memoria del suo pellegrinaggio a Tindari;

●  in comunione con la Chiesa Universale e con tutti gli uomini di buona volontà, lodare Dio per il suo lungo, fedele, generoso, innovatore, provvidenziale servizio teso a portare il Vangelo al mondo intero;

●  accompagnare, nella preghiera, il suo passaggio alla visione di Dio faccia a faccia;
●  proclamare nostra la fede per la quale sappiamo che, in Gesù Cristo morto e risorto, anche per noi è aperto l’ingresso alla vita in Dio Amore Onnipotente.

I

n un passato non molto remoto, tra il Papa e i cardinali che a lui si accostavano per presentargli gli auguri pasquali, si svolgeva un dialogo semplice e suggestivo: Il Signore è veramente risorto, diceva il Papa; Ed è apparso a Simone, gli rispondeva il cardinale.
Fratelli, ancora grazie vivissime per la vostra partecipazione a questa celebrazione.
Portate la mia gratitudine a quanti, a voi in qualsiasi modo prossimi, condividono il comune lutto.
Dite loro che a Tindari, aiutati dal magistero del Santo Padre Giovanni Paolo II, abbiamo rinnovato la nostra fede in Cristo, il Risorto del venerdì santo.
Dite che è stato bello, nella stima e nell’affetto che a lui ci lega, pensare che egli gioisce già alla presenza dello stesso Risorto perché, come assicura la Parola Santa
«una luce si è levata per il giusto, gioia per i retti di cuore» (Sal 96,11). 

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